(Richard Powers, “Il tempo di una canzone”, pag. 667, Mondadori editore).
Questo stupendo romanzo incentrato su tre temi principali, amore, musica, razzismo (Un tempo vi erano tante sfumature di pelle quanti erano gli isolati angoli della terra. Ora ce n'erano enormemente di più. Quante gradazioni se ne potevano vedere? Questa pièce politonale, ricca di accordi, suonava per un pubblico sordo che percepiva solo toniche e dominanti), caratterizzato da una narrazione dal ritmo magicamente ipnotico, ha ricevuto un’accoglienza particolarmente lusinghiera da parte della critica letteraria e, nel nostro Paese, una recensione entusiastica anche da parte dell’autorevole “L'Indice dei libri del mese” (che lo considera “una nuova pietra di paragone” per i romanzi a venire e giudica quella di Richard Powers come “una delle scritture più raffinate in circolazione”). Uno dei protagonisti del lavoro di Powers è il tempo, il tempo storico (una sfilza di avvenimenti storici e di personaggi del secolo scorso: Emmett Till, Janos Remenyi, Marian Anderson, Rosa Parks, per citarne alcuni), il tempo secondo la “teoria della relatività” di Einstein (il tempo non è una successione di momenti ma un continuum temporale) e il tempo futuro (Una sera, in futuro, nascerà una vita che non avrà memoria del luogo da cui proviene, né il pensiero di ciò che è successo per arrivare fin lì. Ladrocinio, schiavismo, assassinio. Si vincerà qualcosa, allora, e qualcosa si perderà, nella morte del tempo. Ma stasera non è ancora quella sera – R. Powers, “Il tempo di una canzone”, pag. 560). Tema centrale del romanzo è, come già detto, l’amore: Powers scrive con dolcezza e delicatezza estreme senza però correre il rischio di passare per un romantico melenso o enfatico. Inoltre, quando accenna al sesso, siamo fortunatamente lontani anni luce da quello che David Foster Wallace chiamava ironicamente "il priapismo rothiano":DD (di cui, a caso, riporto un esempio tratto dal capitolo settimo di “Pastorale americana”: Dawn diceva che quando lui si addormentava dopo aver fatto l’amore le pareva di dormire con una montagna. L’eccitava, certe volte, pensare di dormire accanto a un’enorme roccia. Quando giaceva sotto di lui, lui spingeva a tutto spiano dentro di lei, ma al tempo stesso si teneva a distanza per non schiacciarla sotto il suo peso, e grazie alla sua forza e alla sua resistenza poteva continuare così, a lungo, senza stancarsi. Con un braccio poteva sollevarla e girarla e metterla in ginocchio (…) Dawn veniva, piangeva, e lui non sapeva come interpretare quelle lacrime.- Che c’è? - le chiedeva. - Non lo so. – T’ho fatto male? – No. Non so da dove viene. E’ quasi come se lo sperma, quando me lo spari nel corpo, mi facesse sgorgare le lacrime (…). Comunque, a parte scempi di questo genere, Roth è senza dubbio un grandissimo scrittore, uno dei miei preferiti: ogni tre mesi compro uno dei suoi romanzi – l’ultimo che ho letto è stato “Il complotto contro l’America”: bello, tirato, senza momenti di pausa; oltre all’indimenticabile Alvin, ricordo con piacere due famiglie di origini calabresi: i Cucuzza

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