Quando il lavoro annienta

Lavorare, cercare lavoro, cambiare lavoro, esperienze lavorative, problemi

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Mythodea

Quando il lavoro annienta

Messaggio da Mythodea » 17/08/2009, 11:10

Vorrei raccontarvi la mia storia lavorativa e invito anche voi a raccontarla nella speranza che la condivisione delle esperienze possa in parte rimarginare le ferite di un vissuto negativo.
All’età di 18 anni decisi di far parte dell’impresa di famiglia dopo un regolare percorso di studi di specializzazione.
Erano gli anni 80 e gli affari andavano molto bene e nulla lasciava presagire quel che sarebbe accaduto negli anni seguenti.
Dopo 15 anni di duro lavoro e dedizione alla professione ma soprattutto dopo un'attenta analisi dei profitti e delle perdite mi accorsi che ci si era ridotti a fare i dipendenti dello stato in primis e delle banche dopo e quindi a lavorare esclusivamente per queste due "entità" le quali grazie ai folli adempimenti richiesti dal primo e alla spietata attività delinquenziale delle seconde ci avevano ridotto sull'orlo del baratro del debito ormai divenuto incolmabile.
Per questi motivi, con molta fermezza e determinazione indussi mio padre, allora titolare dell'attività, a prendere una decisione che a mio avviso era stata per troppo tempo e per troppe volte rinviata nella ingenua e vana speranza che qualche santo dal cielo ci venisse a salvare da tutta quella terribile e devastante situazione nella quale eravamo inesorabilmente precipitati.
Anni di sacrifici, frustrazioni, umiliazioni, incomprensioni e deplorevoli litigi per i motivi più banali e disparati con conseguente perdita di quella serenità familiare che dovrebbe essere alla base di una convivenza civile.
Ho letteralmente buttato via i migliori anni della mia vita in un turbinio di devastanti stati d'animo che hanno inesorabilmente minato il mio equilibrio psichico in quel periodo e tutto questo per aver preso la decisione di lavorare in un' impresa che di fatto non mi avrebbe portato proprio da nessuna parte e di certo non per mia inattitudine o incapacità al lavoro.
Quindi mi adoperai col massimo impegno per cercare di recuparare risorse economiche dalla vendita delle apparecchiature e degli arredamenti anche se di poco valore e non fu affatto facile.
Comunque all'inizio del 2005 quel terribile incubo potè considerarsi definitivamente concluso e non mi sembrava vero di essere riuscito a tirarmene fuori.
Meglio la disoccupazione che il lavoro impregnato di tutte quelle preoccupazioni che ero costretto a portarmi anche a casa.
Praticamente era come se lavorassi h24 perchè dopo le anche 10 ore al giorno, una volta a casa il mio cervello continuava irrefrenabilmente a lavorare cercando di elaborare strategie per capire come tirare avanti il giorno successivo.
Voglio anche precisare che non provo alcun rimorso per la decisione presa ed anche se oggi sono ancora disoccupato ebbene questo è nulla in confronto a tutto quello che mi e ci hanno fatto passare quelle due "entità" di cui ho accennato prima.
A distanza di oltre 5 anni, sto' ancora cercando di farmene una ragione per cui il processo di metabolizzazione degli eventi è tutt'ora in atto.
Quando ancora lavoravo e mentre svolgevo le normali attività di lavoro, giurai a me stesso che non appena ne fossi venuto fuori, non avrei mai più cercato un lavoro in quello stesso ambito anche perchè non ho mai avuto una vera vocazione per quello che facevo.
Ma quando riuscii a trovare la forza di esternare le mie intenzioni alla mia famiglia ma soprattutto a mio padre fui osteggiato in tutti i modi a desistere dalla mia idea di volermi dedicare ad altro e quindi non fui capito.
Nessuno di loro riuscì a comprendere lo stato psicologico in cui mi ero ridotto dopo tutti quegli anni, probabilmente anche dovuto alla sensibilità non comune del mio carattere.
Ancora oggi sono alla ricerca di un lavoro diverso da quello che ho sempre svolto ma purtroppo a distanza di 5 anni non sono riuscito a trovare nulla e probabilmente, anzi quasi certamente questo è dovuto alla mia non più "tenera" età.
Mi piacerebbe ascoltare anche le vostre storie.

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arietina76
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Re: Quando il lavoro annienta

Messaggio da arietina76 » 19/08/2009, 14:58

Mythodea ha scritto:Vorrei raccontarvi la mia storia lavorativa e invito anche voi a raccontarla nella speranza che la condivisione delle esperienze possa in parte rimarginare le ferite di un vissuto negativo.
All’età di 18 anni decisi di far parte dell’impresa di famiglia dopo un regolare percorso di studi di specializzazione.
Erano gli anni 80 e gli affari andavano molto bene e nulla lasciava presagire quel che sarebbe accaduto negli anni seguenti.
Dopo 15 anni di duro lavoro e dedizione alla professione ma soprattutto dopo un'attenta analisi dei profitti e delle perdite mi accorsi che ci si era ridotti a fare i dipendenti dello stato in primis e delle banche dopo e quindi a lavorare esclusivamente per queste due "entità" le quali grazie ai folli adempimenti richiesti dal primo e alla spietata attività delinquenziale delle seconde ci avevano ridotto sull'orlo del baratro del debito ormai divenuto incolmabile.
Per questi motivi, con molta fermezza e determinazione indussi mio padre, allora titolare dell'attività, a prendere una decisione che a mio avviso era stata per troppo tempo e per troppe volte rinviata nella ingenua e vana speranza che qualche santo dal cielo ci venisse a salvare da tutta quella terribile e devastante situazione nella quale eravamo inesorabilmente precipitati.
Anni di sacrifici, frustrazioni, umiliazioni, incomprensioni e deplorevoli litigi per i motivi più banali e disparati con conseguente perdita di quella serenità familiare che dovrebbe essere alla base di una convivenza civile.
Ho letteralmente buttato via i migliori anni della mia vita in un turbinio di devastanti stati d'animo che hanno inesorabilmente minato il mio equilibrio psichico in quel periodo e tutto questo per aver preso la decisione di lavorare in un' impresa che di fatto non mi avrebbe portato proprio da nessuna parte e di certo non per mia inattitudine o incapacità al lavoro.
Quindi mi adoperai col massimo impegno per cercare di recuparare risorse economiche dalla vendita delle apparecchiature e degli arredamenti anche se di poco valore e non fu affatto facile.
Comunque all'inizio del 2005 quel terribile incubo potè considerarsi definitivamente concluso e non mi sembrava vero di essere riuscito a tirarmene fuori.
Meglio la disoccupazione che il lavoro impregnato di tutte quelle preoccupazioni che ero costretto a portarmi anche a casa.
Praticamente era come se lavorassi h24 perchè dopo le anche 10 ore al giorno, una volta a casa il mio cervello continuava irrefrenabilmente a lavorare cercando di elaborare strategie per capire come tirare avanti il giorno successivo.
Voglio anche precisare che non provo alcun rimorso per la decisione presa ed anche se oggi sono ancora disoccupato ebbene questo è nulla in confronto a tutto quello che mi e ci hanno fatto passare quelle due "entità" di cui ho accennato prima.
A distanza di oltre 5 anni, sto' ancora cercando di farmene una ragione per cui il processo di metabolizzazione degli eventi è tutt'ora in atto.
Quando ancora lavoravo e mentre svolgevo le normali attività di lavoro, giurai a me stesso che non appena ne fossi venuto fuori, non avrei mai più cercato un lavoro in quello stesso ambito anche perchè non ho mai avuto una vera vocazione per quello che facevo.
Ma quando riuscii a trovare la forza di esternare le mie intenzioni alla mia famiglia ma soprattutto a mio padre fui osteggiato in tutti i modi a desistere dalla mia idea di volermi dedicare ad altro e quindi non fui capito.
Nessuno di loro riuscì a comprendere lo stato psicologico in cui mi ero ridotto dopo tutti quegli anni, probabilmente anche dovuto alla sensibilità non comune del mio carattere.
Ancora oggi sono alla ricerca di un lavoro diverso da quello che ho sempre svolto ma purtroppo a distanza di 5 anni non sono riuscito a trovare nulla e probabilmente, anzi quasi certamente questo è dovuto alla mia non più "tenera" età.
Mi piacerebbe ascoltare anche le vostre storie.
mi spiace molto per le esperienze negative di cui parli. purtroppo, quello che hai raccontato è uno spaccato ormai diffuso nell'Italia di oggi, dove la crisi e la disoccupazione hanno la meglio. mi spiace anche - e soprattutto - per i contrasti familiari che hai avuto: so cosa vogliono dire ed il male che fanno.
io ho la fortuna di fare un lavoro che mi piace, che spero mi dia grandi soddisfazioni (visto che posso definirmi ancora all'inizio della mia carriera professioanle). ma non è stato facile arrivarci.
l'adolescenza e l'università sono state umanamente un incubo, e non per problemi scolastici. i miei hanno attraversato una profondissima e lunghissima crisi, scaturita da alcuni problemi di salute di mia mamma, per fortuna risolti. le litigate erano all'ordine del giorno, studiavo in mezzo alle urla e ai litigi, e al veleno che si gettavano addosso. su un unico punto erano d'accordo: erano uniti contro di me, mi urlavano quotidianamente che per loro ero un inutile peso, un inutile aggravio economico, che la loro vita avrebbe preso una piega migliore senza di me, e altre cattiverie di questo genere, solo molto più pesanti ed offensive. se però accennavo a mandare tutto all'aria per entrare nel mondo del lavoro, apriti cielo!!!i miei ci tenevano alla figlia laureata, l'unica dell'albero genealogico della famiglia!e allora, nonostante tutto, ho proseguito, ma ripeto, non è stato facile: qualunque cosa facessi o dicessi, ero già condannata in anticipo, senza possibilità di appello, per il semplice fatto che ero io. non ti dico quanto tempo ho sprecato domandandomi dove sbagliavo, o cosa dovevo fare per poter avere, anche soltanto 1 volta, la loro approvazione o anche soltanto una banale pacca sulla spalla.
e lì, dopo infinite lacrime (di cui ha nessuno importava) e riflessioni, ho capito e deciso che non avrei mai fatto qualcosa solo per accontare loro, ma che avrei sempre fatto solo ciò che IO ritenevo giusto: tanto - mi sono detta - se quello che faccio non va mai bene, tanto vale che sia almeno quello che ritengo opportuno fare.
ma soprattutto ho deciso di "corrazzarmi" per difendermi, secondo la massima di saggezza "la miglior difesa è sempre l'attacco". mi sono costruita una vera e propria corazza di difesa, che lascia soltanto intravedere chi e come sono realmente. in famiglia e tra i parenti da anni ormai ho la fama della "dura", di quella dal cuore di pietra, che si piega ma non si spezza perchè ha un carattere d'acciaio inox. e a me va bene così: ho notato che, se sei 1 pò "temuta", tendi a ricevere meno attacchi, e a essere guardata in modo diverso, quasi con più "rispetto".
dopo la laurea ho inziato il praticantato, ovviamente - ahimè - gratuito, e con l'assoluta incognita dell'esame finale di abilitazione: 1 terno al lotto, che per fortuna è andato bene al 1° tentativo. non ti dico quanto ero frustata e demoralizzata, prima: era una prospettiva che mi anniantava, lavorare 8 ore al giorno gratis e sentirti poi pesare la situazione a casa. per questo ho cercato qualche altro lavoretto, che non mi consentiva certo l'indipendenza economica, ma 1 boccata di ossigeno sì: che bella sensazione non dover chiedere 20 euro per fare benzina o i soldi per il parruchhiere!
per fortuna - anche se, ripeto, posso considermi agli inizi - la situazione lavorativa è cambiata, e oggi sono certamente più realizzata di prima, anche se la crisi in cui ci troviamo non promette bene.
oggi lavoro dalle 12 alle 14 ore al giorno per portare avanti non solo il mio lavoro, ma anche quello di un amico e collega (uno dei pochi ai quali ho "concesso" di vedermi davvero, senza corazza) che, rimasto vedovo con 2 bambini piccoli, non riesce più a gestire e dedicarsi al lavoro come prima. puoi immaginare, arrivo a casa la sera che sono morta di stanchezza, e arrivo a venerdì che sono uno straccio, ma a me non interessa, perchè penso di fare la cosa giusta.
anche su questo fronte non sono mancate le critiche da parte dei miei: dicono che è assurdo massacrarsi di lavoro anche per gli altri, senza ricevere in cambio uno lauto stipendio o comunque una grossa entrata economica. ma io non sono d'accordo: ci sono valori e principi di fronte ai quali gli interessi economici - che pure hanno una loro importanza, inutile negarlo - devono cedere, e questo è uno di quei casi. come ti ho detto, ho imparato (sulla mia pelle) a fare ciò che ritengo giusto, anche se è una soluzione che agli può non piacere.
tieni duro, cerca di buttarti alle spalle i contrasti in famiglia e vedrai che anche la tua situazione lavorativa migliorerà. ne sono sicura, anche se è una situazione difficile, e te lo auguro tanto. :sun:

Ospite

Re: Quando il lavoro annienta

Messaggio da Ospite » 19/08/2009, 18:28

arietina76 ha scritto:... i miei hanno attraversato una profondissima e lunghissima crisi, scaturita da alcuni problemi di salute di mia mamma, per fortuna risolti. le litigate erano all'ordine del giorno, studiavo in mezzo alle urla e ai litigi, e al veleno che si gettavano addosso.

su un unico punto erano d'accordo: erano uniti contro di me, mi urlavano quotidianamente che per loro ero un inutile peso, un inutile aggravio economico, che la loro vita avrebbe preso una piega migliore senza di me, e altre cattiverie di questo genere, solo molto più pesanti ed offensive.

nonostante tutto, ho proseguito, ma ripeto, non è stato facile: qualunque cosa facessi o dicessi, ero già condannata in anticipo, senza possibilità di appello, per il semplice fatto che ero io. non ti dico quanto tempo ho sprecato domandandomi dove sbagliavo, o cosa dovevo fare per poter avere, anche soltanto 1 volta, la loro approvazione o anche soltanto una banale pacca sulla spalla. e lì, dopo infinite lacrime (di cui ha nessuno importava) e riflessioni, ho capito e deciso che non avrei mai fatto qualcosa solo per accontare loro, ma che avrei sempre fatto solo ciò che IO ritenevo giusto: tanto - mi sono detta - se quello che faccio non va mai bene, tanto vale che sia almeno quello che ritengo opportuno fare.

ma soprattutto ho deciso di "corrazzarmi" per difendermi, secondo la massima di saggezza "la miglior difesa è sempre l'attacco". mi sono costruita una vera e propria corazza di difesa, che lascia soltanto intravedere chi e come sono realmente. in famiglia e tra i parenti da anni ormai ho la fama della "dura", di quella dal cuore di pietra, che si piega ma non si spezza perchè ha un carattere d'acciaio inox. e a me va bene così: ho notato che, se sei 1 pò "temuta", tendi a ricevere meno attacchi, e a essere guardata in modo diverso, quasi con più "rispetto".
Hai espresso a perfezione, parola per parola, la mia infanzia e giovinezza. Poi, figlia unica com’ero, figuriamoci!

Si, molte decisioni che ho preso nella vita sono state esattamente come le tue, cioe' di fare quanto ritenevo giusto ma soprattutto, ritenevo di meritare. Ricordo che si scateno’ in me una forte ribellione, una incontrollabile "voglia" di volerci riuscire a tutti i costi - in spite of - e la decisione che venne poi dopo di proseguire gli studi negli Stati Uniti e alla fine...di rimanerci. Cosa che con non ando’ molto bene a mio padre. Per anni infatti non mi parlo' e non volle nemmeno riconoscermi come figlia. Storia lunghissima cui oggi come oggi (grazie al cielo) le cose sono cambiate.

E' vero, ho combattuto a spada tratta anche con uomini di calibro professionale molto piu’ astuto del mio, uscendone in molti casi (non tutti) vincente ma anche sfortunatamente odiata. Rispettata si, ma ovviamente non piaciuta. E' vero come dici: tendi a ricevere meno attacchi, e a essere guardata in modo diverso, quasi con più "rispetto" quando si riesce ad esprimere un carattere ribelle o piu' "rivoluzionario" di alcuni.
Mythodea ha scritto:Ancora oggi sono alla ricerca di un lavoro diverso da quello che ho sempre svolto ma purtroppo a distanza di 5 anni non sono riuscito a trovare nulla...
Pure io ti suggerirei di tenere duro e ti auguro che i contrasti in famiglia e la situazione lavorativa possano migliorare il piu’ presto possibile.

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arietina76
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Re: Quando il lavoro annienta

Messaggio da arietina76 » 19/08/2009, 19:04

affabile ha scritto:[...]



Hai espresso a perfezione, parola per parola, la mia infanzia e giovinezza. Poi, figlia unica com’ero, figuriamoci!

immagino che per un figlio unico sia ancora più difficile...
io ho una sorella minore, e ho sempre visto con lei un atteggiamento tanto diverso: i miei non facevano mai scenate o commenti con lei, ma la portavano sempre in palmo di mano, lasciandole fare quel che desiderava senza dire nulla e facendo qualunque cosa per alleviarle qualunque compito o incombenza minima. per questo forse siamo tanto diverse, pur volendoci un bene enorme: non dico di essere migliore io o che sia migliore lei, dico soltanto che c'è molta diversità tra noi.mentre io affronto sempre tutte le difficoltà a testa bassa buttandomi ed usando le corna da arietina che madre natura mi ha dato, lei le difficoltà le evita: semplicemente gli gira intorno. e dipende molto dagli altri: spesso le dico, per scrollarla un pò, che manca di carattere e di spina dorsale. ma lei non recepisce, e miei la difendono a spada tratta in ogni sua decisione. quando poi però c'è bisogno (ad es. per andare a fare 1 esame o 1 visita)è sempre da me che vengono, perchè dicono che io do sicurezza. quando invece le parti si rovesciano e tocca a me, ad es. andare a fare 1 esame per cui non devo guidare e devo farmi accompagnare, mi dicono gentilmente che non se la sentono o che hanno impegni, chiedendomi di chiamare 1 taxi per farmi accompagnare. per cose come queste, alle quali ho dovuto aggiungere le porte in faccia di svariati "amici", ho dovuto corazzarmi e costruire un'invalicabile muraglia di difesa.
i contrasti in famiglia fanno male, non c'è dubbio, ma ripeto: non vale la pena - per quello che è la mia esperienza - fare qualcosa soltanto per soddisfare le aspettative degli altri, inclusi i nostri genitori, e per evitare così gli scontri. questa non è vita.
Mythodea, se effettivamente le cose non andavano bene e non eri soddisfatto, hai fatto comunque bene. vedrai che presto trovarai lavoro. con la crisi che stiamo attraversando, non devi farti una colpa o rammaricarti delle decisione prese.

Mythodea

Re: Quando il lavoro annienta

Messaggio da Mythodea » 20/08/2009, 8:48

arietina76 ha scritto:[...]



mi spiace molto per le esperienze negative di cui parli. purtroppo, quello che hai raccontato è uno spaccato ormai diffuso nell'Italia di oggi, dove la crisi e la disoccupazione hanno la meglio. mi spiace anche - e soprattutto - per i contrasti familiari che hai avuto: so cosa vogliono dire ed il male che fanno.
io ho la fortuna di fare un lavoro che mi piace, che spero mi dia grandi soddisfazioni (visto che posso definirmi ancora all'inizio della mia carriera professioanle). ma non è stato facile arrivarci.
l'adolescenza e l'università sono state umanamente un incubo, e non per problemi scolastici. i miei hanno attraversato una profondissima e lunghissima crisi, scaturita da alcuni problemi di salute di mia mamma, per fortuna risolti. le litigate erano all'ordine del giorno, studiavo in mezzo alle urla e ai litigi, e al veleno che si gettavano addosso. su un unico punto erano d'accordo: erano uniti contro di me, mi urlavano quotidianamente che per loro ero un inutile peso, un inutile aggravio economico, che la loro vita avrebbe preso una piega migliore senza di me, e altre cattiverie di questo genere, solo molto più pesanti ed offensive. se però accennavo a mandare tutto all'aria per entrare nel mondo del lavoro, apriti cielo!!!i miei ci tenevano alla figlia laureata, l'unica dell'albero genealogico della famiglia!e allora, nonostante tutto, ho proseguito, ma ripeto, non è stato facile: qualunque cosa facessi o dicessi, ero già condannata in anticipo, senza possibilità di appello, per il semplice fatto che ero io. non ti dico quanto tempo ho sprecato domandandomi dove sbagliavo, o cosa dovevo fare per poter avere, anche soltanto 1 volta, la loro approvazione o anche soltanto una banale pacca sulla spalla.
e lì, dopo infinite lacrime (di cui ha nessuno importava) e riflessioni, ho capito e deciso che non avrei mai fatto qualcosa solo per accontare loro, ma che avrei sempre fatto solo ciò che IO ritenevo giusto: tanto - mi sono detta - se quello che faccio non va mai bene, tanto vale che sia almeno quello che ritengo opportuno fare.
ma soprattutto ho deciso di "corrazzarmi" per difendermi, secondo la massima di saggezza "la miglior difesa è sempre l'attacco". mi sono costruita una vera e propria corazza di difesa, che lascia soltanto intravedere chi e come sono realmente. in famiglia e tra i parenti da anni ormai ho la fama della "dura", di quella dal cuore di pietra, che si piega ma non si spezza perchè ha un carattere d'acciaio inox. e a me va bene così: ho notato che, se sei 1 pò "temuta", tendi a ricevere meno attacchi, e a essere guardata in modo diverso, quasi con più "rispetto".
dopo la laurea ho inziato il praticantato, ovviamente - ahimè - gratuito, e con l'assoluta incognita dell'esame finale di abilitazione: 1 terno al lotto, che per fortuna è andato bene al 1° tentativo. non ti dico quanto ero frustata e demoralizzata, prima: era una prospettiva che mi anniantava, lavorare 8 ore al giorno gratis e sentirti poi pesare la situazione a casa. per questo ho cercato qualche altro lavoretto, che non mi consentiva certo l'indipendenza economica, ma 1 boccata di ossigeno sì: che bella sensazione non dover chiedere 20 euro per fare benzina o i soldi per il parruchhiere!
per fortuna - anche se, ripeto, posso considermi agli inizi - la situazione lavorativa è cambiata, e oggi sono certamente più realizzata di prima, anche se la crisi in cui ci troviamo non promette bene.
oggi lavoro dalle 12 alle 14 ore al giorno per portare avanti non solo il mio lavoro, ma anche quello di un amico e collega (uno dei pochi ai quali ho "concesso" di vedermi davvero, senza corazza) che, rimasto vedovo con 2 bambini piccoli, non riesce più a gestire e dedicarsi al lavoro come prima. puoi immaginare, arrivo a casa la sera che sono morta di stanchezza, e arrivo a venerdì che sono uno straccio, ma a me non interessa, perchè penso di fare la cosa giusta.
anche su questo fronte non sono mancate le critiche da parte dei miei: dicono che è assurdo massacrarsi di lavoro anche per gli altri, senza ricevere in cambio uno lauto stipendio o comunque una grossa entrata economica. ma io non sono d'accordo: ci sono valori e principi di fronte ai quali gli interessi economici - che pure hanno una loro importanza, inutile negarlo - devono cedere, e questo è uno di quei casi. come ti ho detto, ho imparato (sulla mia pelle) a fare ciò che ritengo giusto, anche se è una soluzione che agli può non piacere.
tieni duro, cerca di buttarti alle spalle i contrasti in famiglia e vedrai che anche la tua situazione lavorativa migliorerà. ne sono sicura, anche se è una situazione difficile, e te lo auguro tanto. :sun:
Profondo e toccante il tuo racconto.
Un mio amico di vecchia data ha vissuto e continua a vivere la stessa ed identica tua esperienza ed è come vivere un incubo dal quale non ci si sveglia mai solo che lui al contrario di te non sembra essere in grado di reagire con la determinazione con la quale hai reagito tu costruendoti a fatica la "corazza" di cui parli.
E' stato emozionante leggere la tua storia.
Ti auguro che tu possa ricevere il meglio dalla vita.
Certamente te lo meriti.

Mythodea

Re: Quando il lavoro annienta

Messaggio da Mythodea » 20/08/2009, 8:55

arietina76 ha scritto:[...]




immagino che per un figlio unico sia ancora più difficile...
io ho una sorella minore, e ho sempre visto con lei un atteggiamento tanto diverso: i miei non facevano mai scenate o commenti con lei, ma la portavano sempre in palmo di mano, lasciandole fare quel che desiderava senza dire nulla e facendo qualunque cosa per alleviarle qualunque compito o incombenza minima. per questo forse siamo tanto diverse, pur volendoci un bene enorme: non dico di essere migliore io o che sia migliore lei, dico soltanto che c'è molta diversità tra noi.mentre io affronto sempre tutte le difficoltà a testa bassa buttandomi ed usando le corna da arietina che madre natura mi ha dato, lei le difficoltà le evita: semplicemente gli gira intorno. e dipende molto dagli altri: spesso le dico, per scrollarla un pò, che manca di carattere e di spina dorsale. ma lei non recepisce, e miei la difendono a spada tratta in ogni sua decisione. quando poi però c'è bisogno (ad es. per andare a fare 1 esame o 1 visita)è sempre da me che vengono, perchè dicono che io do sicurezza. quando invece le parti si rovesciano e tocca a me, ad es. andare a fare 1 esame per cui non devo guidare e devo farmi accompagnare, mi dicono gentilmente che non se la sentono o che hanno impegni, chiedendomi di chiamare 1 taxi per farmi accompagnare. per cose come queste, alle quali ho dovuto aggiungere le porte in faccia di svariati "amici", ho dovuto corazzarmi e costruire un'invalicabile muraglia di difesa.
i contrasti in famiglia fanno male, non c'è dubbio, ma ripeto: non vale la pena - per quello che è la mia esperienza - fare qualcosa soltanto per soddisfare le aspettative degli altri, inclusi i nostri genitori, e per evitare così gli scontri. questa non è vita.
Mythodea, se effettivamente le cose non andavano bene e non eri soddisfatto, hai fatto comunque bene. vedrai che presto trovarai lavoro. con la crisi che stiamo attraversando, non devi farti una colpa o rammaricarti delle decisione prese.
Ti ringrazio aretina76.
Ho letto con interesse anche il tuo intervento.
Constato con amarezza che non sono il solo ad aver vissuto certi tipi di esperienze.
E grazie anche per l'incoraggiamento per il lavoro.

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Re: Quando il lavoro annienta

Messaggio da arietina76 » 20/08/2009, 16:31

Mythodea ha scritto:[...]



Profondo e toccante il tuo racconto.
Un mio amico di vecchia data ha vissuto e continua a vivere la stessa ed identica tua esperienza ed è come vivere un incubo dal quale non ci si sveglia mai solo che lui al contrario di te non sembra essere in grado di reagire con la determinazione con la quale hai reagito tu costruendoti a fatica la "corazza" di cui parli.
E' stato emozionante leggere la tua storia.
Ti auguro che tu possa ricevere il meglio dalla vita.
Certamente te lo meriti.
sono io a ringraziare te per le tue belle parole, che in questo momento difficile mi hanno fatto ancora più piacere.
ti rinnovo gli auguri per il lavoro e ti mando un abbraccio. :D
quanto al tuo amico, se parlare con gli interessati - come nel mio caso - non è servito a nulla, l'unico che può tentare di arginare la situazione, mettendo qualche barriera protettiva, è lui. spero che ci riesca.

Mythodea

Re: Quando il lavoro annienta

Messaggio da Mythodea » 20/08/2009, 16:38

arietina76 ha scritto:[...]



sono io a ringraziare te per le tue belle parole, che in questo momento difficile mi hanno fatto ancora più piacere.
ti rinnovo gli auguri per il lavoro e ti mando un abbraccio. :D
quanto al tuo amico, se parlare con gli interessati - come nel mio caso - non è servito a nulla, l'unico che può tentare di arginare la situazione, mettendo qualche barriera protettiva, è lui. spero che ci riesca.
Ricambio il tuo abbraccio virtuale.
Qui abbiamo tutti bisogno di calore umano ed è bello poterlo dispensare, anche se attraverso la tastiera di un computer. :chatman:

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Re: Quando il lavoro annienta

Messaggio da Ospite » 21/08/2009, 13:51

arietina76 ha scritto:immagino che per un figlio unico sia ancora più difficile...
Si', lo e’ stato e devo dirti che lo e' tuttora. Anche se di eta' avanzata, mio padre, cui vengo in Italia diverse volte all'anno a visitare; e' rimasto ancora oggi una persona non facile cui potere ad esempio; scambiare due parole. L'approfondire o il ragionarci sopra bene le cose, non funziona...anzi, non ha mai funzionato.
arietina76 ha scritto:io ho una sorella minore, e ho sempre visto con lei un atteggiamento tanto diverso: i miei non facevano mai scenate o commenti con lei, ma la portavano sempre in palmo di mano, lasciandole fare quel che desiderava senza dire nulla e facendo qualunque cosa per alleviarle qualunque compito o incombenza minima. per questo forse siamo tanto diverse, pur volendoci un bene enorme: non dico di essere migliore io o che sia migliore lei, dico soltanto che c'è molta diversità tra noi.
Una mia cugina pure lei come te e' primogenita, ha subito e poi vissuto lo stesso tipo di trattamento. Ho l'impressione che sfortunatamente pero’ - o per motivi culturali o per motivi di mentalita' tramandate in generazioni, ai figli primogeniti venga affidata molta piu' responsabilita’ rispetto agli altri. Diventano come dire, un terzo genitore o addirittura la "tata" di famiglia.
arietina76 ha scritto:i contrasti in famiglia fanno male, non c'è dubbio, ma ripeto: non vale la pena - per quello che è la mia esperienza - fare qualcosa soltanto per soddisfare le aspettative degli altri, inclusi i nostri genitori, e per evitare così gli scontri. questa non è vita.
Assolutamente d'accordo! Non sarei mai riuscita a costruirmi una vita mia e a realizzarmi come sono qui al momento, se avessi ascoltato le aspettative dettagliate (posso dire sin dalla nascita) dai miei genitori.

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Re: Quando il lavoro annienta

Messaggio da arietina76 » 21/08/2009, 14:38

affabile ha scritto:[...]



Si', lo e’ stato e devo dirti che lo e' tuttora. Anche se di eta' avanzata, mio padre, cui vengo in Italia diverse volte all'anno a visitare; e' rimasto ancora oggi una persona non facile cui potere ad esempio; scambiare due parole. L'approfondire o il ragionarci sopra bene le cose, non funziona...anzi, non ha mai funzionato.
[...]
Una mia cugina pure lei come te e' primogenita, ha subito e poi vissuto lo stesso tipo di trattamento. Ho l'impressione che sfortunatamente pero’ - o per motivi culturali o per motivi di mentalita' tramandate in generazioni, ai figli primogeniti venga affidata molta piu' responsabilita’ rispetto agli altri. Diventano come dire, un terzo genitore o addirittura la "tata" di famiglia.

[...]
Assolutamente d'accordo! Non sarei mai riuscita a costruirmi una vita mia e a realizzarmi come sono qui al momento, se avessi ascoltato le aspettative dettagliate (posso dire sin dalla nascita) dai miei genitori.
verissimo, hai assolutamente ragione, anch'io mi sono sentita gravata da pesi enormi per l'età che avevo.
nonostante tutto, però, c'è una cosa di cui sono contenta: ho imparato a non scaricare la rabbia, la frustrazione ed il senso di solitudine che a volte provo sugli altri. piuttosto tengo tutto dentro, se non ho qualcuno con cui parlarne. certo, a volte si rischia di raggiungere un pericoloso livello di guardia vicino all'esplosione, ma preferisco così piuttosto che aggredire gli altri. ho provato sulla mia pelle cosa vuol dire, ne porto ancora i marchi a fuoco, perchè, come dici tu, certe cicratrici rimangono anche quando ormai si è grandi e vaccinati. e non voglio commettere lo stesso sbaglio con nessuno.

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Messaggio da tempest » 21/08/2009, 16:30

arietina76 ha scritto:oggi lavoro dalle 12 alle 14 ore al giorno per portare avanti non solo il mio lavoro, ma anche quello di un amico e collega (uno dei pochi ai quali ho "concesso" di vedermi davvero, senza corazza) che, rimasto vedovo con 2 bambini piccoli, non riesce più a gestire e dedicarsi al lavoro come prima. puoi immaginare, arrivo a casa la sera che sono morta di stanchezza, e arrivo a venerdì che sono uno straccio, ma a me non interessa, perchè penso di fare la cosa giusta
E' molto bello quello che fai, ora ricordo il topic su questo amico e collega, sei una donna di grande valore e un'amica che pochi nella vita possono sperare di incontrare, se questo tuo amico è troppo scosso per rendersi conto del bene che gli fai, a te rimane e rimarrà comunque l'orgoglio e la serenità interiore di aver dato il massimo per chi era in quel momento indifeso e sperduto.

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arietina76
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Messaggio da arietina76 » 21/08/2009, 17:23

tempest ha scritto:[...]


E' molto bello quello che fai, ora ricordo il topic su questo amico e collega, sei una donna di grande valore e un'amica che pochi nella vita possono sperare di incontrare, se questo tuo amico è troppo scosso per rendersi conto del bene che gli fai, a te rimane e rimarrà comunque l'orgoglio e la serenità interiore di aver dato il massimo per chi era in quel momento indifeso e sperduto.
ti ringrazio tanto per le tue parole, che mi hanno fatto un piacere immenso. mi hai fatto un complimento bellissimo.
hai ragione a dire che mi rimarrà sempre la consapevolezza di quello che ho fatto e che sto facendo tuttora per lui. spesso però mi trovo a domandarmi se mi rimarrà qualcos'altro.
il mio amico, che come dici tu è ancora distrutto, mi tratta da estranea, parla con me solo di lavoro, non mi risponde mai al telefono o ai messaggi, mi proibisce di vedere lui e i suoi cuccioli al di fuori dell'ufficio, come prima facevo (non sto a ripetere tutto quanto già detto in quel topic), allontanandomi 1 pò di più ogni giorno che passa.in pratica, accetta il mio aiuto lavorativo ma ha tagliato con me ogni rapporto umano (spero che sia una situazione destinata a cambiare).
la mia famiglia, come ho già chiarito in questo topic, mi dà contro anche su questo, dicendo che è assurdo aiutare tanto e per tanto tempo una persona, senza avere nulla in cambio (visione opposta alla mia).
i pochi amici veri che credevo di avere, perchè li conoscevo da molti molti anni, hanno espresso un concetto identico a quello dei miei, e quando ho spiegato a loro questa situazione, hanno aggiuto, neanche troppo velatamente, che dovevo piantare lì il mio amico, altrimenti che non andassi più a lamentarmi da loro. cosa che io non ho fatto, perchè, come ho già detto a Mythodea, bisogna fare quello in cui si crede, quello che si ritiene giusto, anche se non coincide con le aspettative degli altri. inutile dire che questi "amici" sono spariti, si fanno negare al telefono e non mi rispondono neanche più. e io mi ritrovo seriamente ferita, con attorno il vuoto, e devo pensare a come ricostruirmi relazioni umane(intanto a settembre mi iscrivo in palestra, poi si vedrà...).
la determinazione e la propria coscienza a volte hanno un caro prezzo.
proprio per questa situazione di "isolamento forzato" (dagli altri) le tue parole mi hanno davvero commosso: perchè per la 1a volta dopo tanto tempo qualcuno mi ha "appoggiato" e "dato una pacca sulla spalla".
ti ringrazio ancora

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Messaggio da tempest » 22/08/2009, 0:21

arietina76 ha scritto:proprio per questa situazione di "isolamento forzato" (dagli altri) le tue parole mi hanno davvero commosso: perchè per la 1a volta dopo tanto tempo qualcuno mi ha "appoggiato" e "dato una pacca sulla spalla".
ti ringrazio ancora
figurati...per così poco! Nel tuo isolamento forzato spero che tu stia traendo un po' di beneficio da questo forum.
I tuoi "amici" hanno un comportamento difficile da comprendere...se non ho capito male ce l'hanno con te perchè aiuti il collega...mah...non saprei davvero trovare spiegazioni, se non, forse ( magari sbaglio ) in un po' di "gelosia"...? Può essere che si sentano trascurati da te che dai tutte le tue energie al lavoro e all'amico in difficoltà?

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Messaggio da Ospite » 22/08/2009, 14:23

tempest ha scritto:I tuoi "amici" hanno un comportamento difficile da comprendere...forse ( magari sbaglio ) in un po' di "gelosia"...? Può essere che si sentano trascurati da te che dai tutte le tue energie al lavoro e all'amico in difficoltà?
Penso che la situazione di arietina sia esattamente come l'hai descritta tu. Pure io come te non riesco proprio a capire/comprendere questi tipi di atteggiamenti, devo dire: infantili, "adolescenziali" non solo, ma il totale non supporto (almeno una parola di conforto) dalla famiglia di arietina.
arietina76 ha scritto:il mio amico, che come dici tu è ancora distrutto, mi tratta da estranea, parla con me solo di lavoro, non mi risponde mai al telefono o ai messaggi, mi proibisce di vedere lui e i suoi cuccioli al di fuori dell'ufficio, come prima facevo (non sto a ripetere tutto quanto già detto in quel topic), allontanandomi 1 pò di più ogni giorno che passa.in pratica, accetta il mio aiuto lavorativo ma ha tagliato con me ogni rapporto umano (spero che sia una situazione destinata a cambiare).
Devi certamente fare come ritieni giusto ma a mio avviso, mettendoci pure una limitazione "sana" all'aiuto che gli stai offrendo. Non lasciare che questo tuo amico ne approfitti di te e delle tue buone intenzioni. Devi guardare o concentrati sulla tua salute; sia fisica che emotiva. Situazioni di questo tipo potrebbero davvero esaurirti, lasciandoti con un enorme senso di vuoto dentro.

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Messaggio da arietina76 » 22/08/2009, 14:37

affabile ha scritto:[...]

Penso che la situazione di arietina sia esattamente come dici tu. Pure io come te non riesco proprio a capire/comprendere questi tipi di atteggiamenti, devo dire: infantili, "adolescenziali" non solo, ma il totale non supporto (almeno una parola di conforto) dalla famiglia di arietina.

[...]

Devi certamente fare come ritieni giusto ma mettendoci pure una limitazione "sana" all'aiuto che gli stai offrendo. Non lasciare che questo tuo amico ne approfitti di te e delle tue buone intenzioni.

Guarda e concentrati sulla tua salute; sia fisica che emotiva.
Situazioni di questo tipo potrebbero davvero esaurirti, lasciarti con un senso di vuoto.

con Te e Tempest, allora, adesso siamo in tre a non comprendere questo tipo di atteggiamento.
quanto alla mia famiglia, non è che non mi supporta, mi da proprio addosso!mi dicono che piantarlo là, perchè se dopo 7 mesi non è ancora riuscito a reagire e a riprendere in mano la propria vita (anche lavorativa), allora vuol dire che gli piace crogiolarsi nel vittimismo e strumentalizzare la situazione per sfruttare me, che lo aiuto. questo almeno è il commento più carino che ho ricevuto.
come può vedere il nostro Mythodea, che ha aperto il post, non è l'unico a essere messo male come sostegno in famiglia! e io sono dell'idea che, se invece si trova un pò di conforto o almeno sostegno nei propri familiari e nei propri amici, qualunque problema si affronta meglio, e io forse sopporterei molto meglio questa situazione, perchè saprei, dopo tutto, di non essere tutta sola soletta...
non se se Mythodea sia d'accordo con me, ma forse non è tanto e solo il lavoro ad annientarti: in realtà, il lavoro ti annienta davvero quando anche chi hai alle spalle (familiari e amici) in un modo o nell'altro ti schiaccia.
quanto ai consigli di Affibile, che ringrazio perchè trova sempre il tempo per una buona parola per me, posso solo dire che ha ragione: adesso sento proprio una sensazione di grande vuoto, perchè non sento alcun sostegno attorno a me. per questo ho già deciso di cercare di distaccarmi 1 pò, anche se non è facile lavorando insieme. cercherò di essere meno amica e più collega, chiudendo in un cassetto tutto il mio affetto nell'attesa che riscopra l'amicizia nei miei confronti. o almeo ci proverò...
la paura che questo non succeda è tanta, ma non vedo altre soluzioni...

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ene
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Re: Quando il lavoro annienta

Messaggio da ene » 22/08/2009, 23:34

Mythodea ha scritto:Vorrei raccontarvi la mia storia lavorativa e invito anche voi a raccontarla nella speranza che la condivisione delle esperienze possa in parte rimarginare le ferite di un vissuto negativo.
All’età di 18 anni decisi di far parte dell’impresa di famiglia dopo un regolare percorso di studi di specializzazione.
Erano gli anni 80 e gli affari andavano molto bene e nulla lasciava presagire quel che sarebbe accaduto negli anni seguenti.
Dopo 15 anni di duro lavoro e dedizione alla professione ma soprattutto dopo un'attenta analisi dei profitti e delle perdite mi accorsi che ci si era ridotti a fare i dipendenti dello stato in primis e delle banche dopo e quindi a lavorare esclusivamente per queste due "entità" le quali grazie ai folli adempimenti richiesti dal primo e alla spietata attività delinquenziale delle seconde ci avevano ridotto sull'orlo del baratro del debito ormai divenuto incolmabile.
Per questi motivi, con molta fermezza e determinazione indussi mio padre, allora titolare dell'attività, a prendere una decisione che a mio avviso era stata per troppo tempo e per troppe volte rinviata nella ingenua e vana speranza che qualche santo dal cielo ci venisse a salvare da tutta quella terribile e devastante situazione nella quale eravamo inesorabilmente precipitati.
Anni di sacrifici, frustrazioni, umiliazioni, incomprensioni e deplorevoli litigi per i motivi più banali e disparati con conseguente perdita di quella serenità familiare che dovrebbe essere alla base di una convivenza civile.
Ho letteralmente buttato via i migliori anni della mia vita in un turbinio di devastanti stati d'animo che hanno inesorabilmente minato il mio equilibrio psichico in quel periodo e tutto questo per aver preso la decisione di lavorare in un' impresa che di fatto non mi avrebbe portato proprio da nessuna parte e di certo non per mia inattitudine o incapacità al lavoro.
Quindi mi adoperai col massimo impegno per cercare di recuparare risorse economiche dalla vendita delle apparecchiature e degli arredamenti anche se di poco valore e non fu affatto facile.
Comunque all'inizio del 2005 quel terribile incubo potè considerarsi definitivamente concluso e non mi sembrava vero di essere riuscito a tirarmene fuori.
Meglio la disoccupazione che il lavoro impregnato di tutte quelle preoccupazioni che ero costretto a portarmi anche a casa.
Praticamente era come se lavorassi h24 perchè dopo le anche 10 ore al giorno, una volta a casa il mio cervello continuava irrefrenabilmente a lavorare cercando di elaborare strategie per capire come tirare avanti il giorno successivo.
Voglio anche precisare che non provo alcun rimorso per la decisione presa ed anche se oggi sono ancora disoccupato ebbene questo è nulla in confronto a tutto quello che mi e ci hanno fatto passare quelle due "entità" di cui ho accennato prima.
A distanza di oltre 5 anni, sto' ancora cercando di farmene una ragione per cui il processo di metabolizzazione degli eventi è tutt'ora in atto.
Quando ancora lavoravo e mentre svolgevo le normali attività di lavoro, giurai a me stesso che non appena ne fossi venuto fuori, non avrei mai più cercato un lavoro in quello stesso ambito anche perchè non ho mai avuto una vera vocazione per quello che facevo.
Ma quando riuscii a trovare la forza di esternare le mie intenzioni alla mia famiglia ma soprattutto a mio padre fui osteggiato in tutti i modi a desistere dalla mia idea di volermi dedicare ad altro e quindi non fui capito.
Nessuno di loro riuscì a comprendere lo stato psicologico in cui mi ero ridotto dopo tutti quegli anni, probabilmente anche dovuto alla sensibilità non comune del mio carattere.
Ancora oggi sono alla ricerca di un lavoro diverso da quello che ho sempre svolto ma purtroppo a distanza di 5 anni non sono riuscito a trovare nulla e probabilmente, anzi quasi certamente questo è dovuto alla mia non più "tenera" età.
Mi piacerebbe ascoltare anche le vostre storie.


La mia famiglia (specialmente mia madre e nonostante i rimproveri per il mio atteggiamento) mi ha sempre appoggiato nei momenti difficili e mi ha sempre incoraggiata nelle mie scelte, anche quelle personali (scelta del liceo e dell'università, decisione di iscrivermi al centro culturale, problemi tesi). In una solo cosa ha però sgarrato in fatto di supporto familiare: quando mi preparavo per la mia prima recita con il gruppo del teatro a cui andavo tutti i giovedì dopo la scuola (il mio sogno allora era quello di diventare attrice al fine di guadagnare tanti soldi), mia madre mi ha detto che al momento della recita avrei fatto venire l'infarto a qualcuno. Beh, non è andata così e mia madre e il mio fratello più giovane, i quali sono venuti a vedermi, si sono complimentati con me e mi hanno fatto le scuse!!! :DD
Serena Maria Settimo

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Re: Quando il lavoro annienta

Messaggio da arietina76 » 26/08/2009, 10:44

ene ha scritto:[...]





La mia famiglia (specialmente mia madre e nonostante i rimproveri per il mio atteggiamento) mi ha sempre appoggiato nei momenti difficili e mi ha sempre incoraggiata nelle mie scelte, anche quelle personali (scelta del liceo e dell'università, decisione di iscrivermi al centro culturale, problemi tesi). In una solo cosa ha però sgarrato in fatto di supporto familiare: quando mi preparavo per la mia prima recita con il gruppo del teatro a cui andavo tutti i giovedì dopo la scuola (il mio sogno allora era quello di diventare attrice al fine di guadagnare tanti soldi), mia madre mi ha detto che al momento della recita avrei fatto venire l'infarto a qualcuno. Beh, non è andata così e mia madre e il mio fratello più giovane, i quali sono venuti a vedermi, si sono complimentati con me e mi hanno fatto le scuse!!! :DD
ma dai, reciti in teatro? bellissimo, chissà che esperienza stimolante e che scossa di adrenalina ogni volta!!!
quanto alla tua famiglia, sono molto contenta per te :P

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ene
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Re: Quando il lavoro annienta

Messaggio da ene » 26/08/2009, 16:11

arietina76 ha scritto:[...]



ma dai, reciti in teatro? bellissimo, chissà che esperienza stimolante e che scossa di adrenalina ogni volta!!!
quanto alla tua famiglia, sono molto contenta per te :P
Beh, per due ho recitato alle superiori, poi ho dovuto smettere per gli esami e quest'anno ho ripreso con il gruppo teatarle dell'università. Mi sto informando sui gruppi teatrali presenti ad Alba Ciao
Serena Maria Settimo

oceanic999
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Re: Quando il lavoro annienta

Messaggio da oceanic999 » 22/10/2009, 23:28

Mythodea ha scritto:Vorrei raccontarvi la mia storia lavorativa e invito anche voi a raccontarla nella speranza che la condivisione delle esperienze possa in parte rimarginare le ferite di un vissuto negativo.
All’età di 18 anni decisi di far parte dell’impresa di famiglia dopo un regolare percorso di studi di specializzazione.
Erano gli anni 80 e gli affari andavano molto bene e nulla lasciava presagire quel che sarebbe accaduto negli anni seguenti.
Dopo 15 anni di duro lavoro e dedizione alla professione ma soprattutto dopo un'attenta analisi dei profitti e delle perdite mi accorsi che ci si era ridotti a fare i dipendenti dello stato in primis e delle banche dopo e quindi a lavorare esclusivamente per queste due "entità" le quali grazie ai folli adempimenti richiesti dal primo e alla spietata attività delinquenziale delle seconde ci avevano ridotto sull'orlo del baratro del debito ormai divenuto incolmabile.
Per questi motivi, con molta fermezza e determinazione indussi mio padre, allora titolare dell'attività, a prendere una decisione che a mio avviso era stata per troppo tempo e per troppe volte rinviata nella ingenua e vana speranza che qualche santo dal cielo ci venisse a salvare da tutta quella terribile e devastante situazione nella quale eravamo inesorabilmente precipitati.
Anni di sacrifici, frustrazioni, umiliazioni, incomprensioni e deplorevoli litigi per i motivi più banali e disparati con conseguente perdita di quella serenità familiare che dovrebbe essere alla base di una convivenza civile.
Ho letteralmente buttato via i migliori anni della mia vita in un turbinio di devastanti stati d'animo che hanno inesorabilmente minato il mio equilibrio psichico in quel periodo e tutto questo per aver preso la decisione di lavorare in un' impresa che di fatto non mi avrebbe portato proprio da nessuna parte e di certo non per mia inattitudine o incapacità al lavoro.
Quindi mi adoperai col massimo impegno per cercare di recuparare risorse economiche dalla vendita delle apparecchiature e degli arredamenti anche se di poco valore e non fu affatto facile.
Comunque all'inizio del 2005 quel terribile incubo potè considerarsi definitivamente concluso e non mi sembrava vero di essere riuscito a tirarmene fuori.
Meglio la disoccupazione che il lavoro impregnato di tutte quelle preoccupazioni che ero costretto a portarmi anche a casa.
Praticamente era come se lavorassi h24 perchè dopo le anche 10 ore al giorno, una volta a casa il mio cervello continuava irrefrenabilmente a lavorare cercando di elaborare strategie per capire come tirare avanti il giorno successivo.
Voglio anche precisare che non provo alcun rimorso per la decisione presa ed anche se oggi sono ancora disoccupato ebbene questo è nulla in confronto a tutto quello che mi e ci hanno fatto passare quelle due "entità" di cui ho accennato prima.
A distanza di oltre 5 anni, sto' ancora cercando di farmene una ragione per cui il processo di metabolizzazione degli eventi è tutt'ora in atto.
Quando ancora lavoravo e mentre svolgevo le normali attività di lavoro, giurai a me stesso che non appena ne fossi venuto fuori, non avrei mai più cercato un lavoro in quello stesso ambito anche perchè non ho mai avuto una vera vocazione per quello che facevo.
Ma quando riuscii a trovare la forza di esternare le mie intenzioni alla mia famiglia ma soprattutto a mio padre fui osteggiato in tutti i modi a desistere dalla mia idea di volermi dedicare ad altro e quindi non fui capito.
Nessuno di loro riuscì a comprendere lo stato psicologico in cui mi ero ridotto dopo tutti quegli anni, probabilmente anche dovuto alla sensibilità non comune del mio carattere.
Ancora oggi sono alla ricerca di un lavoro diverso da quello che ho sempre svolto ma purtroppo a distanza di 5 anni non sono riuscito a trovare nulla e probabilmente, anzi quasi certamente questo è dovuto alla mia non più "tenera" età.
Mi piacerebbe ascoltare anche le vostre storie.
Parlare di scelte di lavoro non è facile... sia perchè è una necessità ma anche perchè bisogna adattarsi alla situazione del momento.
Non conosco direttamente le problematiche di gestire un'attività perchè lavoro come dipendente di una grande ditta (privatizzata da otto anni). L'importante secondo me è che hai agito secondo la tua propria coscienza e valutazioni... le opinioni degli altri sono relative; prima viene il tuo benessere.
L'orgoglio, i pregiudizi e le opinioni degli altri (familiari, amici e società) alle volte hanno creato brutte storie: usura, fallimenti, tensioni familiari con divorzi ecc ecc ecc :(
Conosco per esempio un 45enne che dopo la morte della madre per problemi di cuore, in parte dovuti allo stress della spietata concorrenza nel settore del commercio, ha dovuto a malincuore chiudere l'attività per evitare un futuro fallimento; per pagare i debiti purtroppo ha venduto anche la casa di famiglia, facendosi ospitare da parenti... :(
Dopo i primi due anni duri adesso ha trovato serenità, un lavoro dipendente con cui ricostruire la sua vita.

Buona fortuna ;)

g.gabry

Re: Quando il lavoro annienta

Messaggio da g.gabry » 27/10/2009, 13:22

Mythodea ha scritto:Vorrei raccontarvi la mia storia lavorativa e invito anche voi a raccontarla nella speranza che la condivisione delle esperienze possa in parte rimarginare le ferite di un vissuto negativo.
All’età di 18 anni decisi di far parte dell’impresa di famiglia dopo un regolare percorso di studi di specializzazione.
Erano gli anni 80 e gli affari andavano molto bene e nulla lasciava presagire quel che sarebbe accaduto negli anni seguenti.
Dopo 15 anni di duro lavoro e dedizione alla professione ma soprattutto dopo un'attenta analisi dei profitti e delle perdite mi accorsi che ci si era ridotti a fare i dipendenti dello stato in primis e delle banche dopo e quindi a lavorare esclusivamente per queste due "entità" le quali grazie ai folli adempimenti richiesti dal primo e alla spietata attività delinquenziale delle seconde ci avevano ridotto sull'orlo del baratro del debito ormai divenuto incolmabile.
Per questi motivi, con molta fermezza e determinazione indussi mio padre, allora titolare dell'attività, a prendere una decisione che a mio avviso era stata per troppo tempo e per troppe volte rinviata nella ingenua e vana speranza che qualche santo dal cielo ci venisse a salvare da tutta quella terribile e devastante situazione nella quale eravamo inesorabilmente precipitati.
Anni di sacrifici, frustrazioni, umiliazioni, incomprensioni e deplorevoli litigi per i motivi più banali e disparati con conseguente perdita di quella serenità familiare che dovrebbe essere alla base di una convivenza civile.
Ho letteralmente buttato via i migliori anni della mia vita in un turbinio di devastanti stati d'animo che hanno inesorabilmente minato il mio equilibrio psichico in quel periodo e tutto questo per aver preso la decisione di lavorare in un' impresa che di fatto non mi avrebbe portato proprio da nessuna parte e di certo non per mia inattitudine o incapacità al lavoro.
Quindi mi adoperai col massimo impegno per cercare di recuparare risorse economiche dalla vendita delle apparecchiature e degli arredamenti anche se di poco valore e non fu affatto facile.
Comunque all'inizio del 2005 quel terribile incubo potè considerarsi definitivamente concluso e non mi sembrava vero di essere riuscito a tirarmene fuori.
Meglio la disoccupazione che il lavoro impregnato di tutte quelle preoccupazioni che ero costretto a portarmi anche a casa.
Praticamente era come se lavorassi h24 perchè dopo le anche 10 ore al giorno, una volta a casa il mio cervello continuava irrefrenabilmente a lavorare cercando di elaborare strategie per capire come tirare avanti il giorno successivo.
Voglio anche precisare che non provo alcun rimorso per la decisione presa ed anche se oggi sono ancora disoccupato ebbene questo è nulla in confronto a tutto quello che mi e ci hanno fatto passare quelle due "entità" di cui ho accennato prima.
A distanza di oltre 5 anni, sto' ancora cercando di farmene una ragione per cui il processo di metabolizzazione degli eventi è tutt'ora in atto.
Quando ancora lavoravo e mentre svolgevo le normali attività di lavoro, giurai a me stesso che non appena ne fossi venuto fuori, non avrei mai più cercato un lavoro in quello stesso ambito anche perchè non ho mai avuto una vera vocazione per quello che facevo.
Ma quando riuscii a trovare la forza di esternare le mie intenzioni alla mia famiglia ma soprattutto a mio padre fui osteggiato in tutti i modi a desistere dalla mia idea di volermi dedicare ad altro e quindi non fui capito.
Nessuno di loro riuscì a comprendere lo stato psicologico in cui mi ero ridotto dopo tutti quegli anni, probabilmente anche dovuto alla sensibilità non comune del mio carattere.
Ancora oggi sono alla ricerca di un lavoro diverso da quello che ho sempre svolto ma purtroppo a distanza di 5 anni non sono riuscito a trovare nulla e probabilmente, anzi quasi certamente questo è dovuto alla mia non più "tenera" età.
Mi piacerebbe ascoltare anche le vostre storie.

ciao...
di certo la mia esperienza lavorativa non ha niente a che fare con la tua in quanto lavoro da 2 anni e mezzo, ma se fossi in te sarei fiero perchè nonostante tutti i brutti momenti che hai affrontato li hai superati...io a causa del lavoro, sarà per il mio carattere, ho iniziato a perdere i capelli, ma per fortuna con una cura si sono sistemati, anche perchè mia sorella si è accorta quando la perdita dei capelli era all'inizio della sua fase. Il mio lavoro mi piace, ma quando i capi mi danno sempre la colpa anche se non è mia, è vero sbaglio anche io, non lo nego, ma una volta e due e tre, ma dopo 2 anni e mezzo ne ho fin sopra i capelli e tutto il nervoso non riesco a scaricarlo e lo accumulo in me...
arriverà il giorno che urlerò da matti contro tutti, poi si vedrà...
:ciao:

giogio77

Re: Quando il lavoro annienta

Messaggio da giogio77 » 29/10/2009, 18:25

Mythodea ha scritto:Vorrei raccontarvi la mia storia lavorativa e invito anche voi a raccontarla nella speranza che la condivisione delle esperienze possa in parte rimarginare le ferite di un vissuto negativo.
All’età di 18 anni decisi di far parte dell’impresa di famiglia dopo un regolare percorso di studi di specializzazione.
Erano gli anni 80 e gli affari andavano molto bene e nulla lasciava presagire quel che sarebbe accaduto negli anni seguenti.
Dopo 15 anni di duro lavoro e dedizione alla professione ma soprattutto dopo un'attenta analisi dei profitti e delle perdite mi accorsi che ci si era ridotti a fare i dipendenti dello stato in primis e delle banche dopo e quindi a lavorare esclusivamente per queste due "entità" le quali grazie ai folli adempimenti richiesti dal primo e alla spietata attività delinquenziale delle seconde ci avevano ridotto sull'orlo del baratro del debito ormai divenuto incolmabile.
Per questi motivi, con molta fermezza e determinazione indussi mio padre, allora titolare dell'attività, a prendere una decisione che a mio avviso era stata per troppo tempo e per troppe volte rinviata nella ingenua e vana speranza che qualche santo dal cielo ci venisse a salvare da tutta quella terribile e devastante situazione nella quale eravamo inesorabilmente precipitati.
Anni di sacrifici, frustrazioni, umiliazioni, incomprensioni e deplorevoli litigi per i motivi più banali e disparati con conseguente perdita di quella serenità familiare che dovrebbe essere alla base di una convivenza civile.
Ho letteralmente buttato via i migliori anni della mia vita in un turbinio di devastanti stati d'animo che hanno inesorabilmente minato il mio equilibrio psichico in quel periodo e tutto questo per aver preso la decisione di lavorare in un' impresa che di fatto non mi avrebbe portato proprio da nessuna parte e di certo non per mia inattitudine o incapacità al lavoro.
Quindi mi adoperai col massimo impegno per cercare di recuparare risorse economiche dalla vendita delle apparecchiature e degli arredamenti anche se di poco valore e non fu affatto facile.
Comunque all'inizio del 2005 quel terribile incubo potè considerarsi definitivamente concluso e non mi sembrava vero di essere riuscito a tirarmene fuori.
Meglio la disoccupazione che il lavoro impregnato di tutte quelle preoccupazioni che ero costretto a portarmi anche a casa.
Praticamente era come se lavorassi h24 perchè dopo le anche 10 ore al giorno, una volta a casa il mio cervello continuava irrefrenabilmente a lavorare cercando di elaborare strategie per capire come tirare avanti il giorno successivo.
Voglio anche precisare che non provo alcun rimorso per la decisione presa ed anche se oggi sono ancora disoccupato ebbene questo è nulla in confronto a tutto quello che mi e ci hanno fatto passare quelle due "entità" di cui ho accennato prima.
A distanza di oltre 5 anni, sto' ancora cercando di farmene una ragione per cui il processo di metabolizzazione degli eventi è tutt'ora in atto.
Quando ancora lavoravo e mentre svolgevo le normali attività di lavoro, giurai a me stesso che non appena ne fossi venuto fuori, non avrei mai più cercato un lavoro in quello stesso ambito anche perchè non ho mai avuto una vera vocazione per quello che facevo.
Ma quando riuscii a trovare la forza di esternare le mie intenzioni alla mia famiglia ma soprattutto a mio padre fui osteggiato in tutti i modi a desistere dalla mia idea di volermi dedicare ad altro e quindi non fui capito.
Nessuno di loro riuscì a comprendere lo stato psicologico in cui mi ero ridotto dopo tutti quegli anni, probabilmente anche dovuto alla sensibilità non comune del mio carattere.
Ancora oggi sono alla ricerca di un lavoro diverso da quello che ho sempre svolto ma purtroppo a distanza di 5 anni non sono riuscito a trovare nulla e probabilmente, anzi quasi certamente questo è dovuto alla mia non più "tenera" età.
Mi piacerebbe ascoltare anche le vostre storie.
Ciao
non vorrei essere troppo superficiale ma io penso che il problema principale sia stato il fatto di lavorare in famiglia sotto tuo padre,
per dirla semplicemente non ci possono stare due galli nello stesso pollaio soprattutto se sono parenti perchè nonostante tutto il bene che ci si vuole ci sono delle dinamiche che non si possono evitare e cambiare. Questo un po per tutti.E dura andare contro ai propri genitori soprattutto se si ha con loro un rapporto quasi simbiotico ma lavorarci insieme è da pazzi!!!
Non so che tipo di lavoro tu sappia fare ma secondo me per rimetterti in gioco forse potresti partire da quello ovviamnte NON in ambito familiare e poi quando ti sei un po risollevato guardarti intorno.Purtroppo è difficile realizzare i propri sogni ma si dovrebbe scendere a compromessi con se stessi per almeno sbloccare una situazione.
Tanti auguri.

Eldiablo

Re: Quando il lavoro annienta

Messaggio da Eldiablo » 06/11/2009, 0:56

arietina76 ha scritto:[...]



mi spiace molto per le esperienze negative di cui parli. purtroppo, quello che hai raccontato è uno spaccato ormai diffuso nell'Italia di oggi, dove la crisi e la disoccupazione hanno la meglio. mi spiace anche - e soprattutto - per i contrasti familiari che hai avuto: so cosa vogliono dire ed il male che fanno.
io ho la fortuna di fare un lavoro che mi piace, che spero mi dia grandi soddisfazioni (visto che posso definirmi ancora all'inizio della mia carriera professioanle). ma non è stato facile arrivarci.
l'adolescenza e l'università sono state umanamente un incubo, e non per problemi scolastici. i miei hanno attraversato una profondissima e lunghissima crisi, scaturita da alcuni problemi di salute di mia mamma, per fortuna risolti. le litigate erano all'ordine del giorno, studiavo in mezzo alle urla e ai litigi, e al veleno che si gettavano addosso. su un unico punto erano d'accordo: erano uniti contro di me, mi urlavano quotidianamente che per loro ero un inutile peso, un inutile aggravio economico, che la loro vita avrebbe preso una piega migliore senza di me, e altre cattiverie di questo genere, solo molto più pesanti ed offensive. se però accennavo a mandare tutto all'aria per entrare nel mondo del lavoro, apriti cielo!!!i miei ci tenevano alla figlia laureata, l'unica dell'albero genealogico della famiglia!e allora, nonostante tutto, ho proseguito, ma ripeto, non è stato facile: qualunque cosa facessi o dicessi, ero già condannata in anticipo, senza possibilità di appello, per il semplice fatto che ero io. non ti dico quanto tempo ho sprecato domandandomi dove sbagliavo, o cosa dovevo fare per poter avere, anche soltanto 1 volta, la loro approvazione o anche soltanto una banale pacca sulla spalla.
e lì, dopo infinite lacrime (di cui ha nessuno importava) e riflessioni, ho capito e deciso che non avrei mai fatto qualcosa solo per accontare loro, ma che avrei sempre fatto solo ciò che IO ritenevo giusto: tanto - mi sono detta - se quello che faccio non va mai bene, tanto vale che sia almeno quello che ritengo opportuno fare.
ma soprattutto ho deciso di "corrazzarmi" per difendermi, secondo la massima di saggezza "la miglior difesa è sempre l'attacco". mi sono costruita una vera e propria corazza di difesa, che lascia soltanto intravedere chi e come sono realmente. in famiglia e tra i parenti da anni ormai ho la fama della "dura", di quella dal cuore di pietra, che si piega ma non si spezza perchè ha un carattere d'acciaio inox. e a me va bene così: ho notato che, se sei 1 pò "temuta", tendi a ricevere meno attacchi, e a essere guardata in modo diverso, quasi con più "rispetto".
dopo la laurea ho inziato il praticantato, ovviamente - ahimè - gratuito, e con l'assoluta incognita dell'esame finale di abilitazione: 1 terno al lotto, che per fortuna è andato bene al 1° tentativo. non ti dico quanto ero frustata e demoralizzata, prima: era una prospettiva che mi anniantava, lavorare 8 ore al giorno gratis e sentirti poi pesare la situazione a casa. per questo ho cercato qualche altro lavoretto, che non mi consentiva certo l'indipendenza economica, ma 1 boccata di ossigeno sì: che bella sensazione non dover chiedere 20 euro per fare benzina o i soldi per il parruchhiere!
per fortuna - anche se, ripeto, posso considermi agli inizi - la situazione lavorativa è cambiata, e oggi sono certamente più realizzata di prima, anche se la crisi in cui ci troviamo non promette bene.
oggi lavoro dalle 12 alle 14 ore al giorno per portare avanti non solo il mio lavoro, ma anche quello di un amico e collega (uno dei pochi ai quali ho "concesso" di vedermi davvero, senza corazza) che, rimasto vedovo con 2 bambini piccoli, non riesce più a gestire e dedicarsi al lavoro come prima. puoi immaginare, arrivo a casa la sera che sono morta di stanchezza, e arrivo a venerdì che sono uno straccio, ma a me non interessa, perchè penso di fare la cosa giusta.
anche su questo fronte non sono mancate le critiche da parte dei miei: dicono che è assurdo massacrarsi di lavoro anche per gli altri, senza ricevere in cambio uno lauto stipendio o comunque una grossa entrata economica. ma io non sono d'accordo: ci sono valori e principi di fronte ai quali gli interessi economici - che pure hanno una loro importanza, inutile negarlo - devono cedere, e questo è uno di quei casi. come ti ho detto, ho imparato (sulla mia pelle) a fare ciò che ritengo giusto, anche se è una soluzione che agli può non piacere.
tieni duro, cerca di buttarti alle spalle i contrasti in famiglia e vedrai che anche la tua situazione lavorativa migliorerà. ne sono sicura, anche se è una situazione difficile, e te lo auguro tanto. :sun:

Ho letto le vostre storie e sono rimasto molto colpito, non lo meritavate, sopratutto dal fatto che con i periodi tristi che bene o male passano tutti di tanto in tanto, ho avuto una vita abbastanza fortunata e faccio anche un lavoro che mi piace, mi da una buona dipendenza economica e nonostante tutto riesco sempre a lamentarmi di qualcosa, certe volte mi faccio veramente schifo da solo! In bocca a lupo per tutti voi, ricordiamoci che la ruota gira per tutti e in qualche modo prima o poi arrivano certi riscatti dalla vita :rolleyes:

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Fibbio
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Re: Quando il lavoro annienta

Messaggio da Fibbio » 01/01/2010, 15:50

Eldiablo ha scritto:[...]
Ho letto le vostre storie e sono rimasto molto colpito, non lo meritavate, sopratutto dal fatto che con i periodi tristi che bene o male passano tutti di tanto in tanto, ho avuto una vita abbastanza fortunata e faccio anche un lavoro che mi piace, mi da una buona dipendenza economica e nonostante tutto riesco sempre a lamentarmi di qualcosa, certe volte mi faccio veramente schifo da solo! In bocca a lupo per tutti voi, ricordiamoci che la ruota gira per tutti e in qualche modo prima o poi arrivano certi riscatti dalla vita :rolleyes:
Anche io sono rimasto molto colpito dalle vostre storie e soprattutto dalla storia di Arietina. Non ho capito bene che tipo di lavoro fai però. Hai tutto il mio appoggio morale sulla tua situazione, anche se magari nel frattempo ha ripreso ad essere "normale".

Nel mio caso, come ho forse anche detto in altro post, è più semplice. Il lavoro mi annienta perchè mi alzo la mattina quando i lupi ululano, affronto 3 ore di viaggio sui mezzi pubblici e auto, attacco alle 9 fino alle 13; 1 ora scarsa di pausa in un posto dove non c'è nulla; lavoro fino alle 18 e poi 2 ore e mezzo per ritornare a casa stanchissimo e con pochissimo tempo da dedicare a me stesso, alla mia socializzazione. Per questo stato di cose ho perso molto...tanto direi che non mi va di dire in questo post e ora mi prenderei a schiaffi da solo.
Secondo me, la conoscenza accresce il dolore, ma c'è anche chi ha detto: "fosti non fatte per viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza".

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Re: Quando il lavoro annienta

Messaggio da arietina76 » 01/01/2010, 18:02

Fibbio ha scritto:[...]



Anche io sono rimasto molto colpito dalle vostre storie e soprattutto dalla storia di Arietina. Non ho capito bene che tipo di lavoro fai però. Hai tutto il mio appoggio morale sulla tua situazione, anche se magari nel frattempo ha ripreso ad essere "normale".

Nel mio caso, come ho forse anche detto in altro post, è più semplice. Il lavoro mi annienta perchè mi alzo la mattina quando i lupi ululano, affronto 3 ore di viaggio sui mezzi pubblici e auto, attacco alle 9 fino alle 13; 1 ora scarsa di pausa in un posto dove non c'è nulla; lavoro fino alle 18 e poi 2 ore e mezzo per ritornare a casa stanchissimo e con pochissimo tempo da dedicare a me stesso, alla mia socializzazione. Per questo stato di cose ho perso molto...tanto direi che non mi va di dire in questo post e ora mi prenderei a schiaffi da solo.
anche se hai quotato Eldiablo, credo che ti rivolga a me, dicendo che non ti è chiaro il lavoro.
io sono avvocato, e divido lo studio con due colleghi (uno è quello che sto aiutando).
ho letto nel topic dedicato alle professioni che parlavi del praticantato come commercialista: ah, ne so qualcosa anch'io di praticantato pensa che io non prendevo proprio niente durante la pratica! qui si potrebbe aprire un luuuuuuuungo discorso sul nostro mercato del lavoro, ma andrei davvero troppo ot, anche per una chiaccherona come me... ;) .
ti ringrazio per l'augurio di "normalità": sono riuscita a correggere alcune cosette a casa (credo, più che altro, che su alcuni punti sia subentrata un pò di rassegnazione ;) ), e prendo questo come primo passo verso la "normalizzazione"... :D

Mythodea

Re: Quando il lavoro annienta

Messaggio da Mythodea » 09/03/2010, 20:32

giogio77 ha scritto:[...]



Ciao
non vorrei essere troppo superficiale ma io penso che il problema principale sia stato il fatto di lavorare in famiglia sotto tuo padre,
per dirla semplicemente non ci possono stare due galli nello stesso pollaio soprattutto se sono parenti perchè nonostante tutto il bene che ci si vuole ci sono delle dinamiche che non si possono evitare e cambiare. Questo un po per tutti.E dura andare contro ai propri genitori soprattutto se si ha con loro un rapporto quasi simbiotico ma lavorarci insieme è da pazzi!!!
Non so che tipo di lavoro tu sappia fare ma secondo me per rimetterti in gioco forse potresti partire da quello ovviamnte NON in ambito familiare e poi quando ti sei un po risollevato guardarti intorno.Purtroppo è difficile realizzare i propri sogni ma si dovrebbe scendere a compromessi con se stessi per almeno sbloccare una situazione.
Tanti auguri.
Ciao giogio77.
Ho letto solo ora il tuo intervento e ti ringrazio per la tua opinione.
Credo che tu abbia centrato in pieno quello che era uno dei miei problemi all'interno dell'azienda.
I circa 30 anni di differenza tra me e mio padre si sentivano tutti ed in qualsiasi ambito operativo all'interno dell'azienda soprattutto nel momento in cui andavano prese decisioni importanti.
Le nostre soluzioni ai diversi problemi erano sempre e comunque diametralmente opposte e naturalmente l'ultima parola spettava sempre a lui.
Come dici tu è difficile mettersi in contraso con un genitore per cui anche se sapevo di essere nel giusto ero costretto a tacere e ad incassare decisioni che non mi competevano e che ritenevo deleterie per il buon andamento dell'azienda e credimi lo erano davvero.
Il mio più grosso errore è stato quello di perseverare per troppo tempo in questa situazione; avrei dovuto lasciare l'azienda già durante i primi anni e trovarmi un altro lavoro anche in un altro ambito ma purtroppo non l'ho fatto sempre per il bene di tutta la famiglia in quanto il mio apporto col tempo era diventato fondamentale ed insostituibile.
Pensa che sono trascorsi molti anni senza che io percepissi alcun compenso per il mio lavoro.
Neanche uno sconosciuto si sarebbe comportato così con un proprio dipendente ma io non ero un semplice dipendente ma il figlio del titolare il che è stato molto peggio.
Lavorare con i propri genitori come tu dici è davvero DA PAZZI!
Non lo auguro a nessuno.
Grazie ancora per il tuo intervento e per gli auguri.

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Re: Quando il lavoro annienta

Messaggio da arietina76 » 09/03/2010, 20:44

Mythodea ha scritto:[...]



Ciao giogio77.
Ho letto solo ora il tuo intervento e ti ringrazio per la tua opinione.
Credo che tu abbia centrato in pieno quello che era uno dei miei problemi all'interno dell'azienda.
I circa 30 anni di differenza tra me e mio padre si sentivano tutti ed in qualsiasi ambito operativo all'interno dell'azienda soprattutto nel momento in cui andavano prese decisioni importanti.
Le nostre soluzioni ai diversi problemi erano sempre e comunque diametralmente opposte e naturalmente l'ultima parola spettava sempre a lui.
Come dici tu è difficile mettersi in contraso con un genitore per cui anche se sapevo di essere nel giusto ero costretto a tacere e ad incassare decisioni che non mi competevano e che ritenevo deleterie per il buon andamento dell'azienda e credimi lo erano davvero.
Il mio più grosso errore è stato quello di perseverare per troppo tempo in questa situazione; avrei dovuto lasciare l'azienda già durante i primi anni e trovarmi un altro lavoro anche in un altro ambito ma purtroppo non l'ho fatto sempre per il bene di tutta la famiglia in quanto il mio apporto col tempo era diventato fondamentale ed insostituibile.
Pensa che sono trascorsi molti anni senza che io percepissi alcun compenso per il mio lavoro.
Neanche uno sconosciuto si sarebbe comportato così con un proprio dipendente ma io non ero un semplice dipendente ma il figlio del titolare il che è stato molto peggio.
Lavorare con i propri genitori come tu dici è davvero DA PAZZI!
Non lo auguro a nessuno.
Grazie ancora per il tuo intervento e per gli auguri.
Mythodea, è parecchio che non "ci si vede"..... :D
spero sinceramente che la situazione nel frattempo sia, almeno un pò, migliorata.
certo che il tuo ultimo intervento renda ancora di più l'idea di che anni difficili siano stati....
immagino che sia stato difficili non tanto sotto il profilo economico, che comunque - per carità - non va trascurato, ma proprio sotto il profilo morale della soddisfazione personale.
ti auguro davvero di lasciarti alle spalle tutto questo..... ;)

Mythodea

Re: Quando il lavoro annienta

Messaggio da Mythodea » 10/03/2010, 15:02

arietina76 ha scritto:[...]



Mythodea, è parecchio che non "ci si vede"..... :D
spero sinceramente che la situazione nel frattempo sia, almeno un pò, migliorata.
certo che il tuo ultimo intervento renda ancora di più l'idea di che anni difficili siano stati....
immagino che sia stato difficili non tanto sotto il profilo economico, che comunque - per carità - non va trascurato, ma proprio sotto il profilo morale della soddisfazione personale.
ti auguro davvero di lasciarti alle spalle tutto questo..... ;)
Ciao aretina76
Grazie per le tue parole.
Sembra incredibile ma sento più vicini voi dal punto di vista del sostegno morale che i componenti della mia famiglia.
E' una cosa molto brutta da accettare.
Il problema è che nella mia famiglia non si parla molto quando si devono affrontare questioni importanti come quella in cui mi trovo io.
Proprio qualche ora fa mi sono ritrovato a parlare con mia madre riguardo ad un viaggio che secondi lei dovrei fare insieme a mio fratello e a mia cognata per andare a trovare una mia cugina che vive molto lontano da dove risiedo io visto che è da tanto che non faccio nulla, ma questo nulla è con cognizione di causa visto che la mia condizione non me lo permette perchè io penso che nella vita ci siano delle priorità ben precise e che vadano rispettate.
Quando le ho detto che non avevo nessuna intenzione di affrontare questo viaggio perchè in questo momento i pensieri che mi passano per la testa sono ben altri che non quelli di andarmi a divertire, a quel punto mi ha detto che non dimostro nessun entusiasmo nel vivere la vita : è stata come una coltellata.
Ma è mai possibile che questi genitori non sia in grado di capire le motivazioni per le quali un figlio non vive una vita soddisfacente?
E' come se facessero finta che i problemi non esistano e che in fin dei conti, essendo ormai un adulto non ho più bisogno di alcun sostegno morale, cosa che invece accade in questo forum.
Con questo voglio dire che se non sistemo la mia situazione di precarietà sociale nella quale mi trovo ormai da troppo tempo non ritengo sia il caso di darsi ad una disincantata spensieratezza di un viaggio facendo finta di niente.
Con quale spirito mi ritroverei a vivere questo viaggio anche agli occhi di mio fratello e di mia cognata?
Tu aretina 76 che cosa ne pensi?
Il mio ragionamento ha qualche falla?
Mi piacerebbe conoscere il tuo parere.
Tu come risponderesti ad un genitore che fa finta di non capire che ci sono priorità più importanti che quella di andare a fare uno stupido viaggio?
Grazie sin d'ora per la tua partecipazione.

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Re: Quando il lavoro annienta

Messaggio da arietina76 » 10/03/2010, 15:26

Mythodea ha scritto:[...]



Ciao aretina76
Grazie per le tue parole.
Sembra incredibile ma sento più vicini voi dal punto di vista del sostegno morale che i componenti della mia famiglia.
E' una cosa molto brutta da accettare.
Il problema è che nella mia famiglia non si parla molto quando si devono affrontare questioni importanti come quella in cui mi trovo io.
Proprio qualche ora fa mi sono ritrovato a parlare con mia madre riguardo ad un viaggio che secondi lei dovrei fare insieme a mio fratello e a mia cognata per andare a trovare una mia cugina che vive molto lontano da dove risiedo io visto che è da tanto che non faccio nulla, ma questo nulla è con cognizione di causa visto che la mia condizione non me lo permette perchè io penso che nella vita ci siano delle priorità ben precise e che vadano rispettate.
Quando le ho detto che non avevo nessuna intenzione di affrontare questo viaggio perchè in questo momento i pensieri che mi passano per la testa sono ben altri che non quelli di andarmi a divertire, a quel punto mi ha detto che non dimostro nessun entusiasmo nel vivere la vita : è stata come una coltellata.
Ma è mai possibile che questi genitori non sia in grado di capire le motivazioni per le quali un figlio non vive una vita soddisfacente?
E' come se facessero finta che i problemi non esistano e che in fin dei conti, essendo ormai un adulto non ho più bisogno di alcun sostegno morale, cosa che invece accade in questo forum.
Con questo voglio dire che se non sistemo la mia situazione di precarietà sociale nella quale mi trovo ormai da troppo tempo non ritengo sia il caso di darsi ad una disincantata spensieratezza di un viaggio facendo finta di niente.
Con quale spirito mi ritroverei a vivere questo viaggio anche agli occhi di mio fratello e di mia cognata?
Tu aretina 76 che cosa ne pensi?
Il mio ragionamento ha qualche falla?
Mi piacerebbe conoscere il tuo parere.
Tu come risponderesti ad un genitore che fa finta di non capire che ci sono priorità più importanti che quella di andare a fare uno stupido viaggio?
Grazie sin d'ora per la tua partecipazione.
Ciao.
innanzitutto mi sento di dirti che ti capisco benissimo, quando ti lamenti della mancanza di dialogo con la tua famiglia. io sono sempre stata - e sono tutt'ora - una grande sostenitrice del dialogo e della sua importanza, e lo sono proprio perchè (tu pensa!) nella mia famiglia ce n'è sempre stato davvero poco. i miei genitori hanno sempre avuto la tendenza a fare i giudichi, e a condannare e creticare ogni mia più piccola decisione, anzichè domandarsi il perchè. ed è così per ogni cosa. dalle attività spoprtive che adesso pratico in poi. per questo dico che so cosa vuol dire non trovare un interlocutore dall'altra parte....
credo che tu, anzichè sentirti dire che non hai entusiasmi a vivere, forse avresti preferito che venisse chiesto perchè non vuoi fare quel viaggio.... ma chissà, forse quello di tua mamma è stato semplicemente un tentativo, seppur "goffo" e mal riuscito, di spronarti. io questo non posso saperlo, non conoscendovi entrambi.
quello che ti posso sul viaggio, però, è di non escludere a priori di farlo, se si tratta di un viaggio breve (come giorni, intendo) e poco impegnativo. io capisco benissimo tutte le tue motivazioni, davvero, ma credo che forse staccare, e mettere anche qualche km di distanza tra te e i tuoi, potrebbe aiutarti a vedere le cose in un'altra prospettiva, o quantomeno a ricaricare un pò le pile, in vista di una tua riscossa. questo dipende però dal tipo di viaggio....
soprattutto, visto che dici che le parole di tua madre sono state una coltellata, forse un pò di distanza potrebbe aiutarti a far cicatrizzare la ferita: a volte, con la distanza fisica riusciamo a mettere anche un pò di distanza mentale dai nostri problemi.
e ricorda che le ferite più difficili da cicatrizzare sono proprio quelle che non si vedono: non so, io non escluderei davvero l'idea di isolarmi un pò dalla famiglia.
ripeto, però: dipende dal tipo di viaggio, oltre che, ovviamente, dal tuo personale stato d'animo, che evidentemente solo tu conosci.....

Mythodea

Re: Quando il lavoro annienta

Messaggio da Mythodea » 10/03/2010, 19:56

arietina76 ha scritto:[...]



Ciao.
innanzitutto mi sento di dirti che ti capisco benissimo, quando ti lamenti della mancanza di dialogo con la tua famiglia. io sono sempre stata - e sono tutt'ora - una grande sostenitrice del dialogo e della sua importanza, e lo sono proprio perchè (tu pensa!) nella mia famiglia ce n'è sempre stato davvero poco. i miei genitori hanno sempre avuto la tendenza a fare i giudichi, e a condannare e creticare ogni mia più piccola decisione, anzichè domandarsi il perchè. ed è così per ogni cosa. dalle attività spoprtive che adesso pratico in poi. per questo dico che so cosa vuol dire non trovare un interlocutore dall'altra parte....
credo che tu, anzichè sentirti dire che non hai entusiasmi a vivere, forse avresti preferito che venisse chiesto perchè non vuoi fare quel viaggio.... ma chissà, forse quello di tua mamma è stato semplicemente un tentativo, seppur "goffo" e mal riuscito, di spronarti. io questo non posso saperlo, non conoscendovi entrambi.
quello che ti posso sul viaggio, però, è di non escludere a priori di farlo, se si tratta di un viaggio breve (come giorni, intendo) e poco impegnativo. io capisco benissimo tutte le tue motivazioni, davvero, ma credo che forse staccare, e mettere anche qualche km di distanza tra te e i tuoi, potrebbe aiutarti a vedere le cose in un'altra prospettiva, o quantomeno a ricaricare un pò le pile, in vista di una tua riscossa. questo dipende però dal tipo di viaggio....
soprattutto, visto che dici che le parole di tua madre sono state una coltellata, forse un pò di distanza potrebbe aiutarti a far cicatrizzare la ferita: a volte, con la distanza fisica riusciamo a mettere anche un pò di distanza mentale dai nostri problemi.
e ricorda che le ferite più difficili da cicatrizzare sono proprio quelle che non si vedono: non so, io non escluderei davvero l'idea di isolarmi un pò dalla famiglia.
ripeto, però: dipende dal tipo di viaggio, oltre che, ovviamente, dal tuo personale stato d'animo, che evidentemente solo tu conosci.....
Ti ringrazio per il tuo intervento che ritengo molto incisivo ed intelligente.
Hai capito benissimo quale avrei voluto che fosse la domanda di mia madre al mio rifiuto di affrontare il viaggio in questione.
Mi piacerebbe molto incontrare una persona sensibile come te che sia in grado di capire "tra le righe" quando si affronta un discorso serio.
Vedi, io da sempre sono sempre stato disponibile all'ascolto del prossimo, sono sempre stato disponibile ad interpretare il ruolo della "spalla sulla quale piangere" per metterla in metafora, ho sempre cercato di dispensare buoni consigli e le presone che ne avevano a mio avviso bisogno mi sono sempre state riconoscenti.
Ora però che i ruoli, in seguito al mio recente vissuto, si sono invertiti, ovvero ora che sono io ad avere bisogno non dico di una spalla su cui piangere ma di qualcuno con il quale confidarmi ed dal quale ricevere un minimo sostegno morale, non trovo nessuno disponibile a farlo.
Questo è il paradosso; me la devo sbrigare da solo.
Questo è tutto.
Ti ringrazio per avermi letto.
Comunque se hai bisogno di sfogarti per qualcosa fallo pure attraverso le pagine di questo bel forum.
Ho potuto constatare che ci sono persone meravigliose e che sarebbe bello frequentare di persona.

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Messaggio da airlander » 17/03/2010, 22:49

nella mia vita, sin qui, ho fatto tantissime cose, modificando anche radicalmente tipologia di lavoro e settori, non mi hanno mai spaventato i cambiamenti o le aversità incontrate durante il cammino, anch’io da giovane ho lavorato con mio padre con gli inevitabili conflitti generazionali, ma è stata una grande palestra di vita, ho fatto anche l’imprenditore trasferendo poi a mio figlio quanto nato da tale esperienza soddisfatto nel vederlo migliorare in ciò che avevo iniziato. ho intrapreso ulteriori attività con gli alti e bassi propri dei rischi dovuti al desiderio di seguire nuovi prcorsi, superando i momenti più difficili recuperando quanto inconsciamente avevo accantonato dal bagaglio delle esperienze precedentemente vissute.
ed anche oggi che sono occupato in una famosissima multinazionale dove la competitività interna raggiunge sovente livelli estremi di esasperazione riesco a mantenere una tranquillità interiore che mi consente di veder trapassare tutti coloro che, affannandosi nel tentativo di superarsi vicendevolmente, alla fine periscono.
ora il mio unico desiderio è di raggiungere l’agognata pensione per dedicare ancora più tempo a tutte quelle innumerevoli passioni che mi hanno sempre permesso di vivere i piaceri della vita ben oltre il solo ambito lavorativo che non è mai stato tra le mie priorità.
in buona sostanza, e nei limiti del possibile, fare sempre di tutto per non lasciarsi annientare dal lavoro.
non cercare di diventare un uomo di successo ma piuttosto un uomo di valore
albert einstein
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