alma_romita ha scritto:
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Nel reale avevo solo un amico, di vecchia data, che però adesso è fidanzato e quindi non può più frequentarmi, causa gelosia.
Amici del liceo abbandonati tutti, perché il passaggio all'uni è stato traumatico e ho avuto la brillante idea di chiudermi, tagliando i ponti con tutti.
All'università niente amici: è un ambiente che detesto, cerco di evitarlo il più possibile, infatti sto faticando un sacco.
Come presentazione non è molto invitante, si capisce che probabilmente non sono nemmeno capace di essere un'amica decente.
Sono timida, ansiosa, sempre stata più o meno sola.
Oscillo spesso fra la mestizia data dal non avere praticamente nessuno e l'idea che ormai all'età che ho è impossibile farsi degli amici nella vita reale.
Mancano gli interessi, gli hobby, le attività.
Eppure il mio gentile ragazzo, che purtroppo sta a 300 km da me, dice che mi farebbe bene uscire e avere delle amiche.
Non lo so,
mi sembra tanto difficile.
Ciao Alma Romita, nomen omen, eh?
Ho letto quello che hai scritto e per tante cose mi ricordi me stesso. Per cui, dall'alto dei miei 44 anni :-D, ti racconto la mia storia e ti do' qualche consiglio sperando che possano aiutarti.
Al liceo i miei genitori, probabilmente complice il mio carattere, cercarono costantemente di tenermi a casa. I miei compagni andavano in discoteca, organizzavano feste, uscivano, e io nisba. Con loro nulla, ero il primo figlio ed avevano una paura dannata che chissà cosa facessero i miei compagni e su quale strada di perdizione mi potevano portare.
Invece mi incoraggiavano a frequentare altri due compagni che erano bravi a scuola, anche loro tenuti sempre a bada, i classici bravi ragazzi tutto studio.
Un giorno, saltando per le scale della scuola, mi procurai una distorsione da paura alla caviglia. Ancora oggi, se ripenso a quei momenti, mi vengono i brividi. Non riuscivo a poggiare il piede.
Bene, quegli "amici" che i miei genitori avevano scelto per me non fecero nulla, ma nulla, nulla per me. Mi feci il ritorno da scuola con i mezzi pubblici, portandomi sulle spalle uno zaino pieno zeppo di libri. Avevo uno di loro vicino a me, che non mi chiese neanche se ce la facevo né si offrì di portarmi almeno lo zaino, come io invece avrei fatto. Passai poi il pomeriggio in ospedale, dove solo un esame radiografico escluse una frattura - la caviglia era nera e gonfia come un melone.
Quell'esperienza mi segnò in modo traumatico. Sentii che ero stato solo sfruttato. Quando passai all'università, mi dissi che non volevo più avere amici, ma solo compagni. Studiai sempre da solo, quasi in competizione con il mondo. Ero molto bravo e questo mi fece credere che nella vita sarei potuto arrivare dovunque solo con le mie forze.
Vent'anni dopo mi sono reso conto di quale errore avevo fatto. L'essermi isolato mi aveva reso chiuso, rancoroso; non avevo sviluppato la capacità di entrare empatia con gli altri. All'inizio sul lavoro le cose andarono bene, ma quando si arriva ad un certo livello, le capacità tecniche (gli hard skills) non bastano più. Comincia a contare la capacità di capire gli sltri, di entrarci in sintonia, di prestare attenzione ai piccoli segnali che il loro atteggiamento ti trasmette, di costruirsi una rete di relazioni e di interesse che esula dal lavoro e struttura la tua vita.
Nella mia vita privata, passato il momento dell'infatuazione, la mia compagna cominciò a rimproverarmi di non saperla ascoltare, di non sapere farla sentire importante, insomma, di non essere un buon compagno.
A quel punto cominciarono i problemi e le delusioni. Tanti miei colleghi passarono dirigenti perché invece avevano queste capacità, e alla fine io, che tanto avevo puntato sul successo e sul lavoro (vedi la mia presentazione) caddi per due anni in una depressione profonda che fu sul punto di rovinarmi la vita. Fui ad un passo dal separarmi da mia moglie.
Oggi non penso più alla carriera. Cerco di fare il mio lavoro meglio che posso, ma ricordando che si lavora per vivere e non il viceversa. E credo (spero) che la mia performance sia nettamente migliorata da quando ho iniziato a cercare di entrare in sintonia con gli altri, a vivere la vita in modo positivo e sereno, a pensare che ogni giorno che vivo è un regalo e lo devo sfruttare nel modo migliore, che dietro i ruoli che la vita e il lavoro ci impone ci sono comunque e anzitutto esseri umani. Che l'abbraccio di un amico o di un'amica è un momento di felicità enorme, che anche se sono all'estero lontano da moglie, figli e amici, ci sarà il momento in cui posso riabbracciare tutti.
Morale: non ci siamo. Devi cambiare. Impara dai miei errori. Se io avessi dedicato meno tempo allo studio e qualcosa di più alla vita di relazione, probabilmente ora avrei fatto molta più carriera, e comunque avrei vissuto meglio e senza rimpianti. Fortunatamente le donne hanno molto più innata la capacità di ascoltare, di capire, di entrare in relazione con gli altri. Apriti alla vita, guardala con occhi nuovi. Devi convincerti che sei una persona straordinaria, non perché sei brava, ma per come sei. Devi solo imparare a farlo vedere. La parte emozionale del cervello va allenata, esattamente come la parte razionale viene allenata con lo studio. Hai bisogno di allenare l'altra parte del tuo cervello. Lascia da parte per un po' il tuo ragazzo, prenditi un po' di tempo per pensarci, perché hai bisogno di sviluppare la tua intelligenza emotiva, e avere un lui vicino ti consente invece di rimanere nella tua "zona di conforto" senza confrontarti con gli altri. Potresti diventare dipendente da lui ("senza di lui non posso stare") e il rapporto si incamminerebbe su una strada molto insidiosa.
OK? Non stiamo chiusi in casa, non stiamo a studiare 20 ore al giorno. Esci fuori, fermati a guardare il cielo azzurro ed il verde degli alberi, a respira la vita che ti circonda. Inforca gli occhiali dell'ottimismo e della serenità. Sei una ragazza speciale e la vita ha un progetto per te, che nessuno ti può togliere.
Allora dai, ci alleniamo insieme, d'accordo?