Quando il lavoro annienta
Inviato: 17/08/2009, 11:10
Vorrei raccontarvi la mia storia lavorativa e invito anche voi a raccontarla nella speranza che la condivisione delle esperienze possa in parte rimarginare le ferite di un vissuto negativo.
All’età di 18 anni decisi di far parte dell’impresa di famiglia dopo un regolare percorso di studi di specializzazione.
Erano gli anni 80 e gli affari andavano molto bene e nulla lasciava presagire quel che sarebbe accaduto negli anni seguenti.
Dopo 15 anni di duro lavoro e dedizione alla professione ma soprattutto dopo un'attenta analisi dei profitti e delle perdite mi accorsi che ci si era ridotti a fare i dipendenti dello stato in primis e delle banche dopo e quindi a lavorare esclusivamente per queste due "entità" le quali grazie ai folli adempimenti richiesti dal primo e alla spietata attività delinquenziale delle seconde ci avevano ridotto sull'orlo del baratro del debito ormai divenuto incolmabile.
Per questi motivi, con molta fermezza e determinazione indussi mio padre, allora titolare dell'attività, a prendere una decisione che a mio avviso era stata per troppo tempo e per troppe volte rinviata nella ingenua e vana speranza che qualche santo dal cielo ci venisse a salvare da tutta quella terribile e devastante situazione nella quale eravamo inesorabilmente precipitati.
Anni di sacrifici, frustrazioni, umiliazioni, incomprensioni e deplorevoli litigi per i motivi più banali e disparati con conseguente perdita di quella serenità familiare che dovrebbe essere alla base di una convivenza civile.
Ho letteralmente buttato via i migliori anni della mia vita in un turbinio di devastanti stati d'animo che hanno inesorabilmente minato il mio equilibrio psichico in quel periodo e tutto questo per aver preso la decisione di lavorare in un' impresa che di fatto non mi avrebbe portato proprio da nessuna parte e di certo non per mia inattitudine o incapacità al lavoro.
Quindi mi adoperai col massimo impegno per cercare di recuparare risorse economiche dalla vendita delle apparecchiature e degli arredamenti anche se di poco valore e non fu affatto facile.
Comunque all'inizio del 2005 quel terribile incubo potè considerarsi definitivamente concluso e non mi sembrava vero di essere riuscito a tirarmene fuori.
Meglio la disoccupazione che il lavoro impregnato di tutte quelle preoccupazioni che ero costretto a portarmi anche a casa.
Praticamente era come se lavorassi h24 perchè dopo le anche 10 ore al giorno, una volta a casa il mio cervello continuava irrefrenabilmente a lavorare cercando di elaborare strategie per capire come tirare avanti il giorno successivo.
Voglio anche precisare che non provo alcun rimorso per la decisione presa ed anche se oggi sono ancora disoccupato ebbene questo è nulla in confronto a tutto quello che mi e ci hanno fatto passare quelle due "entità" di cui ho accennato prima.
A distanza di oltre 5 anni, sto' ancora cercando di farmene una ragione per cui il processo di metabolizzazione degli eventi è tutt'ora in atto.
Quando ancora lavoravo e mentre svolgevo le normali attività di lavoro, giurai a me stesso che non appena ne fossi venuto fuori, non avrei mai più cercato un lavoro in quello stesso ambito anche perchè non ho mai avuto una vera vocazione per quello che facevo.
Ma quando riuscii a trovare la forza di esternare le mie intenzioni alla mia famiglia ma soprattutto a mio padre fui osteggiato in tutti i modi a desistere dalla mia idea di volermi dedicare ad altro e quindi non fui capito.
Nessuno di loro riuscì a comprendere lo stato psicologico in cui mi ero ridotto dopo tutti quegli anni, probabilmente anche dovuto alla sensibilità non comune del mio carattere.
Ancora oggi sono alla ricerca di un lavoro diverso da quello che ho sempre svolto ma purtroppo a distanza di 5 anni non sono riuscito a trovare nulla e probabilmente, anzi quasi certamente questo è dovuto alla mia non più "tenera" età.
Mi piacerebbe ascoltare anche le vostre storie.
All’età di 18 anni decisi di far parte dell’impresa di famiglia dopo un regolare percorso di studi di specializzazione.
Erano gli anni 80 e gli affari andavano molto bene e nulla lasciava presagire quel che sarebbe accaduto negli anni seguenti.
Dopo 15 anni di duro lavoro e dedizione alla professione ma soprattutto dopo un'attenta analisi dei profitti e delle perdite mi accorsi che ci si era ridotti a fare i dipendenti dello stato in primis e delle banche dopo e quindi a lavorare esclusivamente per queste due "entità" le quali grazie ai folli adempimenti richiesti dal primo e alla spietata attività delinquenziale delle seconde ci avevano ridotto sull'orlo del baratro del debito ormai divenuto incolmabile.
Per questi motivi, con molta fermezza e determinazione indussi mio padre, allora titolare dell'attività, a prendere una decisione che a mio avviso era stata per troppo tempo e per troppe volte rinviata nella ingenua e vana speranza che qualche santo dal cielo ci venisse a salvare da tutta quella terribile e devastante situazione nella quale eravamo inesorabilmente precipitati.
Anni di sacrifici, frustrazioni, umiliazioni, incomprensioni e deplorevoli litigi per i motivi più banali e disparati con conseguente perdita di quella serenità familiare che dovrebbe essere alla base di una convivenza civile.
Ho letteralmente buttato via i migliori anni della mia vita in un turbinio di devastanti stati d'animo che hanno inesorabilmente minato il mio equilibrio psichico in quel periodo e tutto questo per aver preso la decisione di lavorare in un' impresa che di fatto non mi avrebbe portato proprio da nessuna parte e di certo non per mia inattitudine o incapacità al lavoro.
Quindi mi adoperai col massimo impegno per cercare di recuparare risorse economiche dalla vendita delle apparecchiature e degli arredamenti anche se di poco valore e non fu affatto facile.
Comunque all'inizio del 2005 quel terribile incubo potè considerarsi definitivamente concluso e non mi sembrava vero di essere riuscito a tirarmene fuori.
Meglio la disoccupazione che il lavoro impregnato di tutte quelle preoccupazioni che ero costretto a portarmi anche a casa.
Praticamente era come se lavorassi h24 perchè dopo le anche 10 ore al giorno, una volta a casa il mio cervello continuava irrefrenabilmente a lavorare cercando di elaborare strategie per capire come tirare avanti il giorno successivo.
Voglio anche precisare che non provo alcun rimorso per la decisione presa ed anche se oggi sono ancora disoccupato ebbene questo è nulla in confronto a tutto quello che mi e ci hanno fatto passare quelle due "entità" di cui ho accennato prima.
A distanza di oltre 5 anni, sto' ancora cercando di farmene una ragione per cui il processo di metabolizzazione degli eventi è tutt'ora in atto.
Quando ancora lavoravo e mentre svolgevo le normali attività di lavoro, giurai a me stesso che non appena ne fossi venuto fuori, non avrei mai più cercato un lavoro in quello stesso ambito anche perchè non ho mai avuto una vera vocazione per quello che facevo.
Ma quando riuscii a trovare la forza di esternare le mie intenzioni alla mia famiglia ma soprattutto a mio padre fui osteggiato in tutti i modi a desistere dalla mia idea di volermi dedicare ad altro e quindi non fui capito.
Nessuno di loro riuscì a comprendere lo stato psicologico in cui mi ero ridotto dopo tutti quegli anni, probabilmente anche dovuto alla sensibilità non comune del mio carattere.
Ancora oggi sono alla ricerca di un lavoro diverso da quello che ho sempre svolto ma purtroppo a distanza di 5 anni non sono riuscito a trovare nulla e probabilmente, anzi quasi certamente questo è dovuto alla mia non più "tenera" età.
Mi piacerebbe ascoltare anche le vostre storie.