solitudine collegata a timidezza-introversione?
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solitudine collegata a timidezza-introversione?
Messaggio da Amico82 » 13/04/2005, 11:12
con questo non voglio dire che tutti i timidi siano soli, è vero che tante persone sole sono timide ma non è necessario che sia l'inverso (cioè tutti i timidi sono soli)
Punto di vista :-)
Messaggio da Laura » 13/04/2005, 15:05
a distinzione corrente fra introversione ed estroversione è gravemente compromessa dal pregiudizio.
In generale, dell'individuo introverso si dice che tende a ripiegarsi in se stesso, a interessarsi in modo "morboso" del proprio mondo interno, con distacco e chiusura nei confronti del mondo esterno e dei contatti sociali. Per contro, dell'estroverso si afferma che è un individuo con spiccati interessi verso l'ambiente esterno, tendenza a esprimersi e manifestarsi, e quindi facilità ad inserirsi nel contesto sociale.
Relativamente a introversione ed estroversione, dunque, si esprimono meri "giudizi di valore", pregiudizi gravemente penalizzanti nei confronti dell' introversione. Nel linguaggio quotidiano, la parola "introverso" evoca significati quali: chiuso, taciturno, insicuro, poco socievole, passivo; "estroverso" viceversa significati opposti, quali: aperto, comunicativo, spigliato, attivo, intraprendente. Per quanto si riconosca che molti introversi hanno una sensibilità e un'intelligenza fuori del comune, il loro modo di porsi, equivocato spesso come scostante e altezzoso, provoca reazioni di antipatia, mentre gli estroversi, eccezion fatta per quelli insopportabilmente narcisisti e invadenti, sono giudicati generalmente simpatici.
Nel mondo quindi gli estroversi, fanno il buono e cattivo tempo, imponendo per di più il loro modo di essere come parametro della normalità. Gli introversi, che spesso hanno delle ricche potenzialità emozionali e intellettive, vivono in un cono d'ombra, defilati, frustrati. Fatalmente contagiati dal codice culturale prevalente, essi stessi finiscono per ritenersi inadeguati, meno capaci degli altri, gravati da tratti di carattere che, giudicano comunque inadeguati. Ciò li induce a nutrire un sordo risentimento nei confronti della natura, responsabile di un carattere che crea solo problemi, associato spesso ad una rabbia più o meno consapevole nei confronti della società che li umilia e li emargina. Alcuni, come non bastassero le sollecitazioni esterne ad essere "normali", tendono ad adottare, per mimetizzarsi, dei moduli comportamentali estroversi. Nella misura in cui ci riescono, realizzano tutt'al più un "falso sé", una caricatura del loro vero essere.
La supremazia sociale dell'estroverso, con la conseguente emarginazione (e auto-emarginazione!) dell'introverso riflette, dunque, di una precisa gerarchia di valori. Si tratta tuttavia di una gerarchia di valori banale, appiattita sugli schemi sociali attualmente più in voga, che risentono dell'andamento di una società orientata ai valori di mercato. La "brillantezza", ossia la capacità di sapersi vendere; la "volontà comunicativa", cioè la deferenza verso l'atto di scambio; la "solidarietà", intesa come costrizione all'attivismo sociale; l'"utilitarismo", adeguati a realizzare l'uso insensibile dell'altro essere umano e dunque il perseguimento del mito conformistico del successo, sono i valori dominanti, più facilmente assimilabili da individui poco riflessivi piuttosto che da individui inclini alla sensibilità, al distacco intellettuale e all'intelligenza critica.
Uffa devo uscire,continuo un altra volta.....eheh vi siete salvati ahahahha
se parlo troppo ditemelo ihihihih ...
Messaggio da illa79 » 13/04/2005, 16:38
Ottima analisi Laura, soprattutto nella parte che ho quotato.Laura ha scritto:La supremazia sociale dell'estroverso, con la conseguente emarginazione (e auto-emarginazione!) dell'introverso riflette, dunque, di una precisa gerarchia di valori. Si tratta tuttavia di una gerarchia di valori banale, appiattita sugli schemi sociali attualmente più in voga, che risentono dell'andamento di una società orientata ai valori di mercato. La "brillantezza", ossia la capacità di sapersi vendere; la "volontà comunicativa", cioè la deferenza verso l'atto di scambio; la "solidarietà", intesa come costrizione all'attivismo sociale; l'"utilitarismo", adeguati a realizzare l'uso insensibile dell'altro essere umano e dunque il perseguimento del mito conformistico del successo, sono i valori dominanti, più facilmente assimilabili da individui poco riflessivi piuttosto che da individui inclini alla sensibilità, al distacco intellettuale e all'intelligenza critica.
L’estroverso, che si conforma ai valori della società occidentale dominata dal dio-mercato, ha certamente meno difficoltà dell’introverso a relazionarsi con gli altri ma allo stesso tempo le sue amicizie non sono veramente tali perché è la stessa società, che mette gli individui in competizione tra loro, a trasmettere l’insegnamento che il successo personale viene prima di ogni altra cosa.
L’introverso, per non farsi schiacciare dalla società fino ad auto-emarginarsi, deve essere dotato di un carattere forte, della capacità di reagire altrimenti rischia di provare rabbia verso tutto ciò che lo circonda, e spreca quella profondità d’animo così rara che lo contraddistingue.
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Messaggio da TheEmptyFlow » 13/04/2005, 18:39
sento un forte bisogno di mandarla come spam
davvero complimentoni....rispecchia esattamente ciò che penso....
attendo la seconda puntata... :-)
seguito
Messaggio da Laura » 13/04/2005, 20:09
Occorre, dunque, modificare questa banale gerarchia di valori. In che modo? Rispondo: creando dei paradossi.
Il primo paradosso consiste nello svelare che l'introversione esiste in quanto esprime attitudini biologiche altamente specifiche, necessarie alla sopravvivenza della specie umana nel suo complesso, attitudini che hanno pertanto un valore oggettivo. In un certo senso, l'attitudine introversiva rappresenta l'ultima e più "moderna" sfida che la specie umana abbialanciato a se stessa, ad una specie che finora ha espresso il meglio di sé nel campo delle tecniche di dominio della natura.
Per contro, l'introverso si volge dentro di sé perché lì trova il suo ambiente elettivo: un mondo nel quale confrontare i prodotti della sua sensibilità e intelligenza agli oggetti presenti e dominanti nel mondo esterno. L'introverso ha dunque in modo eminente l'attitudine a trasformare la sua sensibilità e intelligenza in concetti culturali; quindi ad usare il "mondo ideale" costruito dentro di sé sia per valutare il mondo esterno (capacità critica), che per creare un mondo nuovo (anche solo "virtuale") qualora il mondo reale fosse insufficiente in qualche sua parte (capacità creativa).
L'introverso dunque è sempre un individuo riflessivo (e in ciò esprime la sua capacità critica); ma è spesso anche un individuo creativo (e in ciò esprime la sua capacità di invenzione e di rinnovamento del mondo). Egli "giudica" e "inventa" meglio di quanto in genere sappia fare l'estroverso. l'introverso ha la funzione socio-biologica di arricchire il "mondo delle idee", il mondo della cultura riflessiva, atto a sorvegliare e guidare il mondo delle tecniche.
Se si ammette questo primo paradosso, ne consegue un secondo, ancora più interessante, per il quale il concetto stesso di "introversione" viene a mutare radicalmente di segno.
Se i prodotti dell'introversione hanno un valore d'uso (psicologico) e un valore di scambio (in quanto prodotti culturali) allora, per natura, l'introverso dovrebbe oggettivare la sua attività psichica. Cioè, anziché isolarsi trasformando la sua attitudine in una patologia, dovrebbe seguire l'impulso naturale, che è quello di aprirsi al mondo secondo le sue attitudini specifiche. Oggettivare significa allora far cadere la stessa distinzione fra interno e esterno.
Se vedo la cosa dal punto di vista della psiche, nel momento in cui io, soggetto introverso, mi metto in rapporto con il mondo dei simboli (con l'autore di un libro morto secoli fa; con una musica composta a migliaia di chilometri di distanza da me; con un simbolo matematico che non esiste come oggetto materiale; con un silenzio riflessivo proscritto da un regime di obbligo comunicativo, ecc.), nel momento in cui mi metto in rapporto con questo mondo simbolico e lo posso oggettivare in un giudizio critico o nella creatività, allora io divengo PARTE ATTIVA DEL MONDO ESTERNO.
La mia introversione si estroverte come sensibilità, riflessività e creatività, senza passare per alcuna imitazione delle caratteristiche tradizionalmente attribuite all'estroversione.
Messaggio da illa79 » 13/04/2005, 23:15
L’introverso, proprio perché “dissociato” dal pensiero comune del mondo esterno, può inventare nuovi modelli, creare schemi inediti, ridefinire il linguaggio. Così facendo abbatte i dogmi della società moderna e contribuisce a creare quelle molteplicità di pensiero indispensabili agli esseri umani.
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