“Dogma contro critica", Thomas Kuhn
Inviato: 07/09/2014, 23:13
A differenza della religione, la scienza non è arroccata su posizioni dogmatiche. Lo sviluppo scientifico è infatti fondato su una successione di modelli teorici, o “paradigmi” nel senso kuhniano del termine (lo storico e filosofo della scienza Thomas Kuhn, nel 1962, scrisse: “Con tale termine voglio indicare conquiste scientifiche universalmente riconosciute, le quali, per un certo periodo, forniscono un modello di problemi e soluzioni accettabili a coloro che praticano un certo campo di ricerca“. Esempi di paradigmi scientifici sono il paradigma geocentrico tolemaico, il paradigma eliocentrico copernicano, etc.), che vengono progressivamente soppiantati in conseguenza dell’insorgere di un’ “anomalia”- ossia il riconoscimento da parte dello scienziato che la natura ha violato le aspettative suscitate dal paradigma in questione - che mette in “crisi” il vecchio paradigma determinando (per effetto di una “rivoluzione scientifica”) l’adozione di un nuovo paradigma (nel nostro esempio, il modello teorico tolemaico entrò in crisi e venne sostituito da quello copernicano). Tuttavia, secondo T. Kuhn, nel passaggio da un paradigma a un altro, possono registrarsi (soprattutto nella fasi iniziali della transizione) atteggiamenti dogmatici di resistenza all’innovazione. Le considerazioni di T. Kuhn sull’argomento sono presentate nel saggio intitolato «La funzione del dogma nella ricerca scientifica» (saggio compreso nella raccolta “Dogma contro critica. Mondi possibili nella storia della scienza”, Raffaello Cortina editore, 2000). Il saggio in oggetto, di cui riporto gli stralci più significativi, riproduce per intero il testo dell'intervento di T. Kuhn al Symposium on the History of Science, tenutosi all'Università di Oxford nel luglio del 1961:
Sono sicuro che ogni partecipante a questo simposio, in qualche momento della sua carriera, è stato messo di fronte all'immagine dello scienziato come spregiudicato ricercatore della verità. (…) Essere scientifici significa, tra le altre cose essere obiettivi e avere una mente aperta. (…) Sebbene l'impresa scientifica possa avere una mentalità aperta, qualunque sia il significato di tale espressione che qui viene adottato, il singolo scienziato spesso non ce l'ha. (…) Spesso le sue ferme convinzioni si mostrano ancora più chiaramente nelle sue reazioni al lavoro prodotto dagli altri. Dall'accoglienza, da parte di Galileo, delle ricerche di Keplero, alla ricezione di Nägeli del lavoro di Mendel, (…) al rifiuto, da parte di Kelvin, di quelli di Maxwell, si riscontra un'opposizione caratteristica alle novità inaspettate di fatti e di teorie, che sono state spesso respinte da molti dei membri più creativi della comunità scientifica professionale. Lo storico, almeno, ha a malapena bisogno di Planck per ricordarsi che «una nuova verità scientifica non viene di solito presentata in un modo che convince i suoi oppositori (...); piuttosto essi, gradualmente, muoiono uno dopo l'altro, e una nuova generazione cresce familiarizzandosi con la verità fin dall'inizio». Fatti come questi, noti a tutti, (…) non sembrano essere indizio di un'impresa i cui professionisti possiedono una mentalità particolarmente aperta. In uno sviluppo scientifico maturo, il preconcetto e la resistenza sembrano essere la regola piuttosto che l'eccezione.
A questo punto Kuhn parla dell'attività degli scienziati durante quella che lui chiama la "scienza normale", cioè la scienza basata su un paradigma condiviso dalla comunità scientifica:
(…) Nell'accettare un paradigma la comunità degli scienziati si impegna, consapevolmente o meno, nei confronti dell'idea che i problemi fondamentali ivi risolti siano in realtà stati risolti una volta per sempre. E' questo che Lagrange intendeva quando diceva di Newton: «C'è un solo universo e può capitare a un solo uomo, nella storia del mondo, di essere l'interprete delle sue leggi». L'esempio (…) di Einstein dimostra che Lagrange si sbagliava (…). Credendo che quanto era stato fatto da Newton non occorreva fosse fatto di nuovo, Lagrange non era tentato di procedere a reinterpretazioni fondamentali della natura. Poteva invece [così limitandosi] riprendere da dove gli uomini che condividevano il paradigma di Newton avevano lasciato, lottando sia per formulazioni più chiare di quel paradigma sia per un'articolazione che lo potesse portare a un accordo più preciso con le osservazioni della natura; (…) [dunque] gli scienziati, dato un paradigma, lottano con tutta la loro forza e con tutta la loro abilità per portarlo a un accordo sempre più stretto con la natura. Gran parte dei loro sforzi, particolarmente nelle prime fasi dello sviluppo di un paradigma, è diretta a sviluppare il paradigma stesso, a renderlo più preciso nelle aree dove la formulazione originaria era stata inevitabilmente vaga. [Per esempio] I tentativi contemporanei di determinare le forze quantomeccaniche che governano le interazioni dei nucleoni cadono precisamente in questa stessa categoria, [ossia quella del] “l'articolazione del paradigma”. (…) C'è sempre molto lavoro affascinante da fare per migliorare l'accordo tra un paradigma e la natura in un'area dove si è già dimostrato (almeno) un limitato accordo. (…) [Dunque, per i motivi sopra riportati] Lo scienziato impegnato in quella che io ora chiamo “ricerca normale”, ossia basata su un paradigma, non risponde affatto all'immagine dello scienziato (…) come inventore di teorie nuove di zecca che consentono previsioni impressionanti e inaspettate. Al contrario: (…) la sfida [della ricerca normale] non è svelare ciò che non è noto, ma ottenere ciò che è noto [sulla base del paradigma del momento]. (…) Dato quel paradigma e l'indispensabile fiducia in esso, lo scienziato cessa del tutto di essere un esploratore (…) di ciò che è sconosciuto. Invece, egli lotta per articolare e per concretizzare quanto già si conosce [sulla base del paradigma di riferimento in quel momento storico]. (…) In queste circostanze possiamo sorprenderci del fatto che gli scienziati oppongano resistenza al cambiamento di paradigma? (…) Inevitabilmente l'impresa che impegna lo scienziato è caratterizzata [in questo caso] da una visione drasticamente ristretta…
*I termini tra parentesi quadre sono miei.
Sono sicuro che ogni partecipante a questo simposio, in qualche momento della sua carriera, è stato messo di fronte all'immagine dello scienziato come spregiudicato ricercatore della verità. (…) Essere scientifici significa, tra le altre cose essere obiettivi e avere una mente aperta. (…) Sebbene l'impresa scientifica possa avere una mentalità aperta, qualunque sia il significato di tale espressione che qui viene adottato, il singolo scienziato spesso non ce l'ha. (…) Spesso le sue ferme convinzioni si mostrano ancora più chiaramente nelle sue reazioni al lavoro prodotto dagli altri. Dall'accoglienza, da parte di Galileo, delle ricerche di Keplero, alla ricezione di Nägeli del lavoro di Mendel, (…) al rifiuto, da parte di Kelvin, di quelli di Maxwell, si riscontra un'opposizione caratteristica alle novità inaspettate di fatti e di teorie, che sono state spesso respinte da molti dei membri più creativi della comunità scientifica professionale. Lo storico, almeno, ha a malapena bisogno di Planck per ricordarsi che «una nuova verità scientifica non viene di solito presentata in un modo che convince i suoi oppositori (...); piuttosto essi, gradualmente, muoiono uno dopo l'altro, e una nuova generazione cresce familiarizzandosi con la verità fin dall'inizio». Fatti come questi, noti a tutti, (…) non sembrano essere indizio di un'impresa i cui professionisti possiedono una mentalità particolarmente aperta. In uno sviluppo scientifico maturo, il preconcetto e la resistenza sembrano essere la regola piuttosto che l'eccezione.
A questo punto Kuhn parla dell'attività degli scienziati durante quella che lui chiama la "scienza normale", cioè la scienza basata su un paradigma condiviso dalla comunità scientifica:
(…) Nell'accettare un paradigma la comunità degli scienziati si impegna, consapevolmente o meno, nei confronti dell'idea che i problemi fondamentali ivi risolti siano in realtà stati risolti una volta per sempre. E' questo che Lagrange intendeva quando diceva di Newton: «C'è un solo universo e può capitare a un solo uomo, nella storia del mondo, di essere l'interprete delle sue leggi». L'esempio (…) di Einstein dimostra che Lagrange si sbagliava (…). Credendo che quanto era stato fatto da Newton non occorreva fosse fatto di nuovo, Lagrange non era tentato di procedere a reinterpretazioni fondamentali della natura. Poteva invece [così limitandosi] riprendere da dove gli uomini che condividevano il paradigma di Newton avevano lasciato, lottando sia per formulazioni più chiare di quel paradigma sia per un'articolazione che lo potesse portare a un accordo più preciso con le osservazioni della natura; (…) [dunque] gli scienziati, dato un paradigma, lottano con tutta la loro forza e con tutta la loro abilità per portarlo a un accordo sempre più stretto con la natura. Gran parte dei loro sforzi, particolarmente nelle prime fasi dello sviluppo di un paradigma, è diretta a sviluppare il paradigma stesso, a renderlo più preciso nelle aree dove la formulazione originaria era stata inevitabilmente vaga. [Per esempio] I tentativi contemporanei di determinare le forze quantomeccaniche che governano le interazioni dei nucleoni cadono precisamente in questa stessa categoria, [ossia quella del] “l'articolazione del paradigma”. (…) C'è sempre molto lavoro affascinante da fare per migliorare l'accordo tra un paradigma e la natura in un'area dove si è già dimostrato (almeno) un limitato accordo. (…) [Dunque, per i motivi sopra riportati] Lo scienziato impegnato in quella che io ora chiamo “ricerca normale”, ossia basata su un paradigma, non risponde affatto all'immagine dello scienziato (…) come inventore di teorie nuove di zecca che consentono previsioni impressionanti e inaspettate. Al contrario: (…) la sfida [della ricerca normale] non è svelare ciò che non è noto, ma ottenere ciò che è noto [sulla base del paradigma del momento]. (…) Dato quel paradigma e l'indispensabile fiducia in esso, lo scienziato cessa del tutto di essere un esploratore (…) di ciò che è sconosciuto. Invece, egli lotta per articolare e per concretizzare quanto già si conosce [sulla base del paradigma di riferimento in quel momento storico]. (…) In queste circostanze possiamo sorprenderci del fatto che gli scienziati oppongano resistenza al cambiamento di paradigma? (…) Inevitabilmente l'impresa che impegna lo scienziato è caratterizzata [in questo caso] da una visione drasticamente ristretta…
*I termini tra parentesi quadre sono miei.