La casa di Grete era frequentata da musicisti, persino da un direttore d'orchestra secondo il quale la musica era la quarta dimensione. Il direttore d'orchestra (...) aveva trentacinque anni ed era ammirato (le donne svenivano per lui) come se ne avesse venticinque e rispettato come se ne avesse ottanta. In genere il direttore d'orchestra, quando andava a finire la serata nell'appartamento di Grete, si sedeva vicino al pianoforte, che non toccava neppure con la punta del mignolo, e veniva immediatamente circondato da una corte di amici e ammiratori in estasi, finchè non decideva di alzarsi e di emergere come un apicoltore da uno sciame di api, solo che questo apicoltore non era protetto da una tuta di rete nè da un casco e povera l'ape che avesse osato pungerlo, anche solo con il pensiero. La quarta dimensione, diceva, contiene le altre tre dimensioni e conferisce loro, incidentalmente, il loro valore reale, cioè annulla la dittatura delle tre dimensioni, e annulla, pertanto, il mondo tridimensionale che conosciamo e in cui viviamo. La quarta dimensione, diceva, è la ricchezza assoluta dei sensi e dello Spirito (...), è l'Occhio che si apre e annulla gli occhi, che confrontati con l'Occhio sono appena due poveri orifizi di fango, fissi nella contemplazione o nell'equazione nascita -apprendistato-lavoro-morte, mentre l'Occhio risale il fiume della filosofia, il fiume dell'esistenza, il fiume (rapido) del destino. La quarta dimensione, diceva, si poteva esprimere solo mediante la musica. Bach, Mozart, Beethoven. Era difficile avvicinarsi al direttore d'orchestra. (...) Una sera però, il pittoresco terzetto composto da Halder, dal giapponese e da Hans attrasse la sua attenzione e chiese alla padrona di casa chi erano. (...) Il direttore d'orchestra, allora, volle conoscerli e la padrona di casa, di una gentilezza squisita, chiamò con l'indice lo stupito terzetto e lo condusse in un angolo appartato. Per un pò, com'è naturale non seppero cosa dire. Il direttore parlò per l'ennesima volta perchè era questo allora il suo argomento preferito, della musica o della quarta dimensione (...).Halder e Nisa [il giapponese] annuivano sempre, ma non Hans. (...) Quella sera Hans gli chiese cosa pensassero quelli che vivevano o frequentavano la quinta dimensione. All'inizio il direttore non capì bene (...). Poi afferrò l'idea e smise di badare a Halder e a Nisa per concentrare il suo sguardo di falco o d'aquila o di avvoltoio necrofago negli occhi grigi e tranquilli del giovane prussiano, che stava già formulando un'altra domanda: cosa pensavano quelli che avevano libero accesso alla sesta dimensione di quelli che si collocavano nella quinta o nella quarta? Cosa pensavano quelli che vivevano nella decima dimensione, cioè quelli che percepivano dieci dimensioni, riguardo alla musica, per esempio? Cos'era per loro Beethoven? Cos'era per loro Mozart? Cos'era per loro Bach? Probabilmente, si rispose da solo il giovane, solo rumore, un rumore come di pagine accartocciate, un rumore come di libri bruciati. In quel momento il direttore d'orchestra alzò una mano in aria e disse o meglio sussurrò in tono confidenziale: «Non parli di libri bruciati, caro giovanotto». Al che Hans rispose: «E' tutto un libro bruciato, caro direttore. La musica, la decima dimensione, la quarta dimensione, le culle, la produzione di pallottole e fucili, i romanzi sul lontano Ovest : tutti libri bruciati».
(R. Bolano,"2666", “La parte di Arcimboldi”, Adelphi, pagg. 718-721).
Il giovane prussiano quando parla di "libri bruciati" si riferisce ai "Bücherverbrennungen" (roghi di libri) organizzati nel 1933 nella Germania nazista per ridurre in cenere tutti i libri non confacenti all'ideologia nazionalsocialista ("2666" è ambientato in parte in quel buio periodo storico). “2666” è un romanzo stupendo, indimenticabile (insieme all’incredibile “Infinite Jest” di Wallace è, secondo il mio parere, probabilmente il miglior lavoro partorito in campo letterario negli ultimi decenni), diviso in cinque parti: l’ultima parte (intitolata “La parte di Arcimboldi”) sarebbe senza dubbio da Nobel… inizia con una narrazione che costituisce uno splendido esempio di “realismo magico” e prosegue (dopo un episodio di rottura che può ricordare il cinema di Quentin Tarantino ) lungo gli accidentati binari che attraversano le due più grandi tragedie che il mondo ha conosciuto nel secolo scorso.
P.S. Consigliatissima la corposa critica letteraria presente online sull' “archivio bolano” (nella sezione intitolata “2666”).
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"2666", Roberto Bolaño
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