Citate un libro

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Angelo Brelich, “Aristofane: commedia e religione”

Messaggio da Etere » 23/01/2014, 23:48

Nel brivido della tragedia e nella risata della commedia, l’uomo greco sperimenta i due grandi rischi della sua esistenza, i due abissi che deve evitare, quello di oltrepassare la propria misura e quello di rimanere sotto di essa.
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Gondemar

Re: Calvin Tomkins: "Duchamp: A Biography"

Messaggio da Gondemar » 24/01/2014, 19:38

I libri sono tra i consiglieri che preferisco, perché né la paura né la speranza gli impediscono di dirmi quello che devo fare..

E comunque... C’è un libro che è sempre aperto per tutti gli sguardi: la natura!

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Re: Citate un libro

Messaggio da Etere » 14/06/2014, 22:50

amary ha scritto:Vi chiedo di scrivere qui uno stralcio che vi ha particolarmente colpito di un libro che avete letto
Perché le donne non hanno il pomo d'Adamo?

Il pomo d'Adamo altro non è che una protuberanza che si forma nella laringe umana, costituita da cartilagine. L'area in questione viene detta cartilagine tiroidea perché si trova proprio sopra la tiroide. Se volete usare un linguaggio tecnico, potete chiamarla anche prominenza laringea; ma pomo d'Adamo è molto più pittoresco, non vi sembra? Inoltre, non è una cosa che riguarda solo i maschietti. Sia gli uomini che le donne possiedono la cartilagine tiroidea, e quindi un pomo d'Adamo. Quest'ultimo mantiene uguali dimensioni nei due sessi fino al periodo della pubertà, quando il maggior livello di testosterone fa sì che diventi più prominente nell'uomo.
In alcune donne, il pomo d'Adamo può apparire spiacevolmente ingrossato. Non temete: la moderna chirurgia plastica può sistemare quasi ogni cosa. Tutto quello di cui avete bisogno è una rasatura tracheale, per ridurne le dimensioni. Malgrado il nome induca a pensare che possa essere fatta presso il barbiere all'angolo, in realtà occorre praticare una piccola incisione nella gola, con successiva asportazione della cartilagine in eccesso.
Non sorprende il fatto che sia uno degli interventi più frequenti nei passaggi dal sesso maschile al sesso femminile.Ma allora da dove viene l'espressione
«pomo d'Adamo»? Molti si rifanno alla storia della Creazione e credono che la protuberanza sia stata causata dal frutto proibito rimasto incastrato nella gola di Adamo, quando lo mangiò nel giardino dell'Eden. Questa teoria, però, presenta qualche problema, perché alcuni studiosi ebrei sostengono che l'albero vietato agli uomini fosse un melograno. Secondo il Corano, poi, si trattava di un banano. Quindi, a voi la scelta: pomo d'Adamo, melograno d'Adamo, banana d'Adamo. Una cosa è chiara: Eva masticò per bene, prima di mandar giù il boccone.


Gli uomini possono allattare?

(...) Ecco come stanno davvero le cose. Le ghiandole mammarie maschili possono produrre latte, ma certo non in quantità tale da nutrire un neonato. Normalmente, nell'uomo si tratta di una condizione patologica. La causa più comune è la presenza di un prolattinoma (un tumore secernente prolattina) nella ghiandola pituitaria. La prolattina è un ormone che stimola la produzione di latte; l'eccessiva secrezione di tale ormone può essere provocata dalla somministrazione di farmaci per la pressione alta(soprattutto la metildopa), di fenotiazine e oppioidi, e persino dal consumo di liquirizia. Un'altra causa può essere il trattamento ormonale in caso di cancro alla prostata. Ai pazienti vengono somministrati ormoni femminili
per diminuire la crescita della ghiandola prostatica: un effetto secondario, però, può essere la produzione di latte, o galattorrea.
Anche in condizioni di fame estrema, quando l'equilibrio della produzione ormonale viene totalmente scombussolato, l'uomo può produrre latte (un fatto che si è osservato nei prigionieri di guerra). Inoltre, la lattazione può essere indotta attraverso il massaggio e la manipolazione costanti del capezzolo, per un prolungato periodo di tempo. Ma suona piuttosto faticoso.
Infine, c'è il pipistrello della frutta: è l'unico mammifero maschio a produrre latte. Quindi, se siete dei pipistrelli della frutta col cancro alla prostata a cui piace massaggiarsi i capezzoli, e se siete prigionieri di guerra... be', date pure inizio all'allattamento!

Mark Leyner & Billy Goldberg,"Perché alle donne scappa sempre e agli uomini no?", pagg. 10-17, Sperling & Kupfer Editori.

P.S. "Perché alle donne scappa sempre e agli uomini no?" è un divertente e istruttivo libro scritto a quattro mani da Mark Leyner (l'autore di "Mio cugino, il mio gastroenterologo", negli anni '90 libro culto nei campus universitari americani) e Billy Goldberg, medico dell'ospedale universitario di New York. "I vostri dubbi più inconfessabili risolti una volta per tutte".
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Messaggio da Etere » 28/07/2014, 23:05

“Una sera, (…) Ulises Lima ci chiamò per telefono dal kibbuz Walter Scholem. Un cugino di Daniel, messicano come noi, viveva lì e quelli del kibbuz lo avevano accolto. Ci disse che stava lavorando in uno stabilimento di olio. Come te la passi, gli domandò Claudia. Non molto bene, disse Ulises, il lavoro è noioso. Poco tempo dopo il cugino di Daniel ci chiamò per telefono e ci disse che Ulises era stato espulso. Perché? Be’, perché non lavorava. Per poco non abbiamo avuto un incendio per colpa sua, disse il cugino di Daniel. E ora dov’è?, domandò Daniel, ma suo cugino non ne aveva idea, in realtà era per quello che ci chiamava, per sapere dov’era e riscuotere un debito di cento dollari che Ulises aveva lasciato allo spaccio. Per qualche giorno aspettammo ogni sera il suo arrivo, ma Ulises non si fece vedere. Ad arrivare fu invece una lettera da Gerusalemme. Giuro (…) che era assolutamente incomprensibile. Il solo fatto che ci fosse arrivata conferma, senza ombra di dubbio, l’eccellenza del servizio postale israeliano. Era indirizzata a Claudia, ma il numero del nostro appartamento era sbagliato e il nome della strada sfoggiava tre errori di ortografia, un vero record. Questo, fuori dalla busta. Dentro le cose peggioravano. La lettera, come ho detto, era illeggibile, anche se era scritta in spagnolo o almeno questa fu la conclusione a cui arrivammo io e Daniel. Ma avrebbe potuta essere scritta in aramaico. Su questo, sull’aramaico, ricordo una cosa curiosa. Claudia (…) quella sera ci raccontò una storia che le aveva raccontato Ulises molto tempo prima, quando erano tutti e due nel DF [in Messico]. Secondo Ulises Lima, diceva Claudia, quella parabola così famosa di Gesù Cristo, quella dei ricchi, del cammello e della cruna dell’ago, poteva essere frutto di un errore. In greco, disse Claudia che aveva detto Ulises, (ma da quando Ulises sapeva il greco?), esisteva la parola kamelos, cammello, però la e (eta) si leggeva quasi come i, ed esisteva la parola kamilos, fune, gomena, grossa corda, dove la i (iota) si legge i. Questo lo portava a domandarsi, dato che Matteo e Luca si erano basati sul testo di Marco, se l’origine del possibile errore o strafalcione non potesse risalire a quest’ultimo o a un copista immediatamente posteriore. L’unica cosa che si poteva obiettare, ripeteva Claudia che aveva detto Ulises, era che Luca, buon conoscitore del greco, avrebbe emendato il refuso. Ebbene, Luca conosceva il greco, ma non il mondo ebraico e poteva aver supposto che il cammello che passa o non passa dalla cruna dell’ago fosse un adagio di origine ebraica o aramaica. La cosa curiosa secondo Ulises, era che esisteva un’altra possibile origine dell’errore: secondo Herr Professor Pinchas Lapide (accidenti che nome, disse Claudia) dell’Università di Francoforte, esperto di ebraico e aramaico, nell’aramaico della Galilea c’erano proverbi che usavano il sostantivo gamta, gomena di imbarcazione, e se una delle sue consonanti era scritta in modo sbagliato, come accade spesso nei manoscritti ebraici e aramaici, è molto facile leggere gamal, cammello, soprattutto tenendo conto che nella scrittura dell’aramaico e dell’ebraico antico non si usano le vocali e queste devono essere «intuite». Il che ci portava, diceva Claudia che aveva detto Ulises, a una parabola meno poetica e più realistica. E’ più facile che una gomena o una grossa fune passi dalla cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli. E lui quale parabola preferiva?, domandò Daniel. Sapevamo tutti e due la risposta ma aspettammo che Claudia la dicesse. Quella dell’errore naturalmente.“

Roberto Bolaño, I detective selvaggi, pagg. 329-330, Adelphi editore, 2014.
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Messaggio da Etere » 09/08/2014, 0:05

Adesso sarebbe opportuno raccontare due o tre barzellette, ma me ne viene in mente soltanto una, così, su due piedi, solo una (...), una barzelletta sui galleghi. Non so se la sapete già. C’è uno che si mette a camminare in un bosco. Io, per esempio, sto camminando in un bosco, come il Parco di Traiano o come le Terme di Traiano, ma selvaggio e senza tanta deforestazione. E questa persona, che sarei io, cammina per il bosco e incontra cinquecentomila galleghi che camminano piangendo. E allora io mi fermo (...) e domando loro perché piangano. E uno dei galleghi si ferma e mi dice: perché siamo soli e ci siamo perduti.

Xosé Lendoiro, Terme di Traiano, Roma, Ottobre 1992. Tratto da “I detective selvaggi " di Roberto Bolaño.
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Messaggio da Etere » 15/08/2014, 23:31

Noi non siamo altro che parzialmente questo imparziale nubifragio di atomi; consecutiva percussione e ripercussione di tocchi e rintocchi […]; buriana di coriandoli […]; scossone che si spollina in pungente spruzzaglia; guazza di trascoloranti connotati […]; semola di antenati […]; lotteria di aliquote e tombola d’infrazioni […]; energia che s’inciotola e s’incoltella; sacra ruota di nefandezze; rintronante fabbrica di recipienti vuoti; muto magazzino di recipienti colmi.


Edoardo Cacciatore, "Dal dire al fare cioè: la lezione delle cose", Argalìa ediz. 1997.
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Re: Citate un libro

Messaggio da Etere » 12/04/2015, 21:01

amary ha scritto:Vi chiedo di scrivere qui uno stralcio che vi ha particolarmente colpito di un libro che avete letto
Una volta feci un sogno per il quale diventava per me importante conoscere le previsioni del tempo per il giorno seguente. Cercavo sui giornali il bollettino meteorologico, ma non lo trovavo nella solita pagina. Accendevo la radio, ma gli annunciatori del giornale radio non parlavano del tempo del giorno seguente. Facevo il numero telefonico del Servizio meteorologico (…) ma benchè la voce della registrazione descrivesse le condizioni del tempo in corso, non diceva niente sulle previsioni per il giorno dopo. Infine, disperato, telefonai direttamente all’ufficio meteorologico, ma era notte inoltrata e nessuno rispose. Per caso conoscevo il nome del meteorologo capo, e così gli telefonai a casa. Il telefono suonò molte volte prima che egli rispondesse, e mi sembrò di avvertire un senso di apprensione nella sua voce.

“Che c’è?”, chiese.
“Vorrei sapere che tempo farà domani” , domandai. “E’ importantissimo”

“(…) Domani non farà nessun tempo, se volete saperlo”.
“Cosa?”
“Non avete sentito? Ho detto che domani non farà nessun tempo. Tutti i nostri strumenti sono d’accordo su questo. Niente bel tempo o brutto tempo”.
“Ma è impossibile!”
“Mi ha sentito bene”, brontolò l’uomo delle previsioni del tempo. “Prendere o lasciare. Niente tempo domani, e basta. E ora lasciatemi in pace; devo dormire”.

Qui terminò il sogno, e mi svegliai tutto sconvolto. L’ho raccontato per illustrare una differenza tra stati d’animo e tempo atmosferico, di solito uniti per analogia: un giorno senza tempo è impensabile, ma, almeno per me, c’erano giorni senza assolutamente nessun umore. In quei giorni Jacob Horner, fuorchè in un insignificante senso metabolico, cessava completamente di esistere, perché io ero senza una personalità. Come quegli organismi microscopici che i biologi devono tingere per rendere visibili, io dovevo essere colorato da qualche umore, per poter avere un io riconoscibile. Il fatto che i miei discontinui e successivi io erano legati gli uni agli altri dai due fili precari del corpo e della memoria; il fatto che nella natura delle lingue occidentali la parola ‘cambiamento’ presuppone qualcosa su cui operare il cambiamento; il fatto che, benchè l’organismo sia invisibile senza la tintura, la tintura non è l’organismo – queste erano le considerazioni delle quali ero consapevole ma che non mi interessavano. Nei miei giorni senza “tempo” esistevo appena. Il mio corpo sedeva su una sedia a dondolo, dondolava, dondolava, e la mia mente era vuota quasi quanto uno spazio infrastellare.
(…) Di quando in quando facevo un sorriso enigmatico, ma non posso dire che questo riflettesse realmente alcun sentimento sincero da parte mia. Mi ritrovavo semplicemente a farlo, come spesso, quando passeggiavo solo, mi capitava di sorprendermi a ripetere cento volte, con voce dignitosa e senza ritmo: “Pepsi Cola a volontà, e la sete passerà” – accompagnando il moto delle labbra con un corrugamento della fronte, distratte contrazioni all’angolo della bocca e magari un rapido gesto della mano destra. I passanti mi prendevano spesso per un uomo immerso in seri problemi e talvolta, quando guardavo indietro dopo averne sorpassato uno, mi capitava di vedere che anche lui faceva un furtivo movimento con la mano destra, provandosi a rifare il gesto.


John Barth, “La fine della strada”, pagg. 78-80; 83-84. Minimum Fax editore, 2011.
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Re: Citate un libro

Messaggio da Etere » 24/05/2015, 20:32

amary ha scritto:Vi chiedo di scrivere qui uno stralcio che vi ha particolarmente colpito di un libro che avete letto
Ero in guerra, una volta, in una cittadina dove le bombe cominciavano a strapparti via il cuore, al punto che ti veniva da pensare a tutta la maestà del mondo a cui non avresti più potuto pensare tra un minuto, se quel rumore veniva giù a colpire nel punto giusto; stavo sgattaiolando verso la cantina: dentro c’era una vecchia bretone con una mucca che si era trascinata appresso, e più in là, dietro a questa, qualcuno con l’accento di Dublino che diceva: “Gloria a Dio“ in un sussurro dal fondo, dietro la bestia. Grazie al Cielo io ce l’avevo dalla parte della testa, e la poverina tremava tanto sulle quattro gambe che d’un tratto seppi che la tragedia della bestia può essere di due gambe più atroce di quella umana. La mucca mollava piano il suo sterco dal fondo, dove la vocetta celtica continuava a ripetere: “Gloria a Gesù!“, e io mi dissi: “Ma perché non viene il mattino, che io possa vedere in che cosa è immischiata la mia faccia?”. In quel momento passò un lampo e vidi la mucca rovesciare la testa all’indietro così che le sue corna formarono due lune contro le sue spalle e le lacrime inzuppavano i grandi occhi neri. Mi misi a parlarle, maledicendo me stesso e l’irlandese, e la vecchia sembrava correre con gli occhi lungo la sua vita, concentrata come un uomo che guardi lungo la canna del fucile in cerca di un bersaglio. Misi una mano sulla bestia, povera diavola, e sentii l’acqua che le scorreva addosso come acqua che precipita da Lahore, e sussultava sotto la mia mano come se volesse andarsene, restando ferma dov’era; e pensai, ci sono direzioni e velocità che nessuno ha calcolato, perché, ci crediate o no, quella mucca se n’era andata svelta svelta in un posto che noi non sapevamo, eppure era ancora lì.



Djuna Barnes, “La foresta della notte”, pagg. 40-41, Adelphi ediz., 1994
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Re: Citate un libro

Messaggio da SweetSour » 04/02/2017, 21:56

amary ha scritto:Vi chiedo di scrivere qui uno stralcio che vi ha particolarmente colpito di un libro che avete letto.
"Nulla mi sorprende più.
Mi chiedo quando il futuro che avevo immaginato ha iniziato a sbiadire e dove sono finiti i sogni che avevo.
Forse c’è qualcosa di peggio dei sogni svaniti:la non voglia di sognare ancora."

-Le prime luci del mattino- Fabio Volo
"Le strade non sono per tutti... È per questo che hanno inventato i marciapiedi"

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Re: Citate un libro

Messaggio da Etere » 14/03/2019, 20:11

Gli Indiani del Veda venerano un dio del quale non
si può sentir parlare senza venir richiamati ad Ermete.
Si chiama Pushan. L'Oldenberg scrive di lui: «Il tratto
caratteristico che perennemente ricorre nel suo operare
è questo, ch'egli conosce le vie, mostra le vie, guida sulle
vìe, tien lontani gli smarrimenti, sa ricondurre i fuorviati
sulla retta via, e ritrovare gli sperduti. (...)
Scaccia dalla via ciò che nuoce, il lupo ed il masnadiere...».
(Oldenberg, "Religion des Veda").
Tutto ciò torna a capello anche per Ermete, e si è
tentati per un momento di pensare ad un sosia. Ma
come son diversi nella loro apparente rassomiglianza!
Il dio indiano domina possente sulle vie e su tutto ciò
che vi si svolge ed accade; e rivolge questo potere all'utile
ed all'edificazione degli uomini, che lo onorano.
Egli è il dio particolare di una determinata zona del
mondo [cioè è un dio settoriale: la zona - il settore - del mondo di cui
si occupa è quella delle strade, delle vie], e vi opera come lo desidera la classe degli uomini
pacifici e giusti; li conduce rettamente e li guarda da ogni possibile pericolo [somigliando, sotto questo aspetto e tra gli altri dèi, anche a un tipico dio monoteista, con la differenza che il dio monoteista per definizione non è settoriale in quanto non è politesta]: « Scaccia dalla via ciò che nuoce: il lupo ed il masnadiero ».
Ermete invece protegge i masnadieri ed i ladri, e
se fa anche sì che il pio viandante passi incolume, son
però certamente loro che gli stanno più a cuore (in questo suo modo d'agire Ermete si
appalesa il genio della notte, il quale fa sì che l'uomo ne
senta l'inquietudine e, accanto a questa inquietudine e
quasi in essa, provi il senso di una protezione.): ciò
significa un immenso ampiamento del campo d'azione del dio
.
La sua vastità non vien più stabilita dal desiderio
umano, sibbene da una forma caratteristica di
tutta l'esistenza. E si trova allora che questa sfera comprende
buono e cattivo, riuscita e disillusione, alto e
basso.
(...) Sebbene vi sia in tutto ciò molto che dà da pensare dal
punto di vista morale, essa è però una forma di essere,
ch'appartiene con tutti i suoi punti interrogativi alle
forme della realtà vivente (...)
Come vasto era lo sguardo [degli antichi greci] che misurò questo mondo,
come vivo l'occhio che vide la sua figurazione in quella
di un dio e seppe riconoscere la profondità del divino
anche nella ribalderia e nell'irresponsabilità. Ciò che
Ermete anima (...) è un mondo in tutto il senso
del termine, ossia tutto un mondo, non un frammento
qualsiasi di tutta la somma dell'esistenza. Ogni cosa gli
appartiene, ma appare in tutt'altra luce che nei regni
degli altri dèi [compresi quelli monoteisti]. Chi vuol tentar la sorte di questo mondo
e goder del favore del suo dio Ermete, costui deve pure esser pronto a perdere;
chè l'una cosa non va disgiunta dall'altra.

Walter Otto, "Gli dèi della Grecia"

* Le note tra le quadre sono di Etere
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Re: Citate un libro

Messaggio da Etere » 16/08/2019, 19:22

"Che essi [gli Elvezi] potessero gloriarsi con tanta insolenza della loro vittoria e meravigliarsi di essere sfuggiti per tanto tempo al castigo, dipendeva da una sola ragione: che gli Dèi immortali, a coloro che vogliono punire per qualche delitto, talvolta concedono maggiore prosperità e più lunga impunità, perché più gravemente si debbano dolere della mutata fortuna".

Caio Giulio Cesare, "De bello gallico".
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Re: Citate un libro

Messaggio da Etere » 19/08/2019, 17:22

"Nel breve periodo estivo che ancora restava (in quei luoghi l'inverno arriva assai presto, perché tutta la Gallia si estende verso nord) Cesare decise di partire per la Britannia, perché sapeva che i nostri nemici [ i Galli ] ne avevano avuto aiuti in quasi tutte le guerre galliche e credeva che, se anche non gli fosse bastato il tempo per fare una guerra, sarebbe pure stato molto utile per lui almeno accostarsi a quell'isola, conoscere l'indole degli abitanti, imparare l'ubicazione dei porti e degli approdi; cose tutte che anche ai Galli erano sconosciute. È infatti difficile che qualcuno vada là all'infuori dei mercanti, ma neppure questi conoscono altro che la zona costiera e le regioni che sono di fronte alla Gallia".

C. G. Cesare, De bello gallico, libro IV, Bur edizioni, 2004.

:P ;)
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Re: Citate un libro

Messaggio da Etere » 30/04/2020, 12:03

"Esiste, nella nostra cultura, una metafora pienamente sviluppata dell'amore-come-viaggio, utilizzata per comprendere certi aspetti dei rapporti sentimentali e ragionare su di loro, in modo particolare per quegli aspetti che hanno a che fare con la durata, la vicinanza, le difficoltà e finalità comuni. L'inglese è pieno di espressioni che riflettono la concettualizzazione dell'amore come viaggio (...):

Guarda "quanto siamo arrivati lontano". E' stata "una strada lunga e accidentata".Non possiamo tornare indietro adesso. Siamo a "un bivio". Può darsi che ciascuno di noi debba "prendere la propria strada". Stiamo "facendo girare a vuoto le nostre ruote". Il rapporto non "sta andando da nessuna parte".Il matrimonio è finito "sugli scogli".

Gli amanti sono viaggiatori di un viaggio fatto insieme, con obiettivi comuni.Il rapporto è il loro veicolo, ed è ciò che permette loro di perseguire insieme i loro obiettivi comuni. Il viaggio non è facile; ci sono ostacoli, e ci sono luoghi (i bivi)
in cui va presa una decisione sulla direzione in cui proseguire, e se continuare a viaggiare assieme.Il viaggio può essere effettuato in maniere differenti: con l'auto ("una strada lunga e accidentata", stiamo "facendo girare a vuoto le nostre ruote"), il treno ("siamo fuori dei binari"), la nave ("siamo finiti sugli scogli","stiamo affondando"), o l'aereo ("stiamo solo decollando","ci gettiamo col paracadute").
La metafora richiede che un certo dominio di esperienza, l'amore, venga inteso nei termini di un dominio di esperienza molto differente, i viaggi; la si può intendere come una proiezione (nel senso matematico) da un dominio origine (in questo caso, i viaggi) a un dominio target (in questo caso, l'amore). La proiezione è fortemente strutturata: ci sono corrispondenze ontologiche, secondo cui entità del dominio dell'amore corrispondono sistematicamente a entità nel dominio del viaggio:

gli amanti corrispondono ai viaggiatori.
il rapporto sentimentale corrisponde al veicolo.
lo stato di trovarsi nel veicolo corrisponde alla vicinanza fisica dovuta all'essere nel veicolo.
gli obiettivi comuni degli amanti corrispondono alle loro destinazioni comuni nel viaggio.
le difficoltà corrispondono agli ostacoli di viaggio.

Prendiamo l'esempio che segue:
Due viaggiatori stanno andando da qualche parte in un veicolo quando questo incontra un ostacolo e si ferma. Esiste un numero limitato di alternative per l'azione: (a) essi possono cercare di far sì che il veicolo riprenda a muoversi, sistemandolo o portandolo al di là dell'ostacolo; (b) possono restare nel veicolo fermo e rinunciare ad arrivare alla loro destinazione con esso; (c) possono abbandonare il veicolo.

Le corrispondenze ontologiche proiettano questa sceneggiatura su una corrispondente sceneggiatura sentimentale, all'interno della quale vengono considerate le corrispondenti alternative per l'azione (...).

[Concludendo] La metafora non concerne solamente il linguaggio: concerne anche il pensiero e la ragione. (...) Se le metafore fossero semplicemente delle espessioni linguistiche, dovremmo aspettarci che espressioni linguistiche diverse diano luogo a metafore diverse (...). Eppure non siamo di fronte a dozzine di metafore, quanto piuttosto a una metafora sola, nella quale l'amore viene concettualizzato come un viaggio".

George Lakoff, "Una figura del pensiero" (passi del capitolo tratto da "Teorie della metafora", a cura di C. Cacciari, Raffaello Cortina editore, 1996).
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MaryDelia
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Re: Citate un libro

Messaggio da MaryDelia » 08/01/2021, 11:50

“Rispondigli di sì, anche se stai morendo di paura, anche se poi te ne pentirai, perché comunque te ne pentirai per tutta la vita se gli rispondi di no.”
Gabriel Garcia Marquez - "L'amore ai tempi del colera"

Una storia d'amore lunga 53 anni, 7 mesi e 11 giorni che mi ha letteralmente rapita.