



“Dogma contro critica", Thomas Kuhn
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“Dogma contro critica", Thomas Kuhn
Messaggio da Etere » 07/09/2014, 23:13
Sono sicuro che ogni partecipante a questo simposio, in qualche momento della sua carriera, è stato messo di fronte all'immagine dello scienziato come spregiudicato ricercatore della verità. (…) Essere scientifici significa, tra le altre cose essere obiettivi e avere una mente aperta. (…) Sebbene l'impresa scientifica possa avere una mentalità aperta, qualunque sia il significato di tale espressione che qui viene adottato, il singolo scienziato spesso non ce l'ha. (…) Spesso le sue ferme convinzioni si mostrano ancora più chiaramente nelle sue reazioni al lavoro prodotto dagli altri. Dall'accoglienza, da parte di Galileo, delle ricerche di Keplero, alla ricezione di Nägeli del lavoro di Mendel, (…) al rifiuto, da parte di Kelvin, di quelli di Maxwell, si riscontra un'opposizione caratteristica alle novità inaspettate di fatti e di teorie, che sono state spesso respinte da molti dei membri più creativi della comunità scientifica professionale. Lo storico, almeno, ha a malapena bisogno di Planck per ricordarsi che «una nuova verità scientifica non viene di solito presentata in un modo che convince i suoi oppositori (...); piuttosto essi, gradualmente, muoiono uno dopo l'altro, e una nuova generazione cresce familiarizzandosi con la verità fin dall'inizio». Fatti come questi, noti a tutti, (…) non sembrano essere indizio di un'impresa i cui professionisti possiedono una mentalità particolarmente aperta. In uno sviluppo scientifico maturo, il preconcetto e la resistenza sembrano essere la regola piuttosto che l'eccezione.
A questo punto Kuhn parla dell'attività degli scienziati durante quella che lui chiama la "scienza normale", cioè la scienza basata su un paradigma condiviso dalla comunità scientifica:
(…) Nell'accettare un paradigma la comunità degli scienziati si impegna, consapevolmente o meno, nei confronti dell'idea che i problemi fondamentali ivi risolti siano in realtà stati risolti una volta per sempre. E' questo che Lagrange intendeva quando diceva di Newton: «C'è un solo universo e può capitare a un solo uomo, nella storia del mondo, di essere l'interprete delle sue leggi». L'esempio (…) di Einstein dimostra che Lagrange si sbagliava (…). Credendo che quanto era stato fatto da Newton non occorreva fosse fatto di nuovo, Lagrange non era tentato di procedere a reinterpretazioni fondamentali della natura. Poteva invece [così limitandosi] riprendere da dove gli uomini che condividevano il paradigma di Newton avevano lasciato, lottando sia per formulazioni più chiare di quel paradigma sia per un'articolazione che lo potesse portare a un accordo più preciso con le osservazioni della natura; (…) [dunque] gli scienziati, dato un paradigma, lottano con tutta la loro forza e con tutta la loro abilità per portarlo a un accordo sempre più stretto con la natura. Gran parte dei loro sforzi, particolarmente nelle prime fasi dello sviluppo di un paradigma, è diretta a sviluppare il paradigma stesso, a renderlo più preciso nelle aree dove la formulazione originaria era stata inevitabilmente vaga. [Per esempio] I tentativi contemporanei di determinare le forze quantomeccaniche che governano le interazioni dei nucleoni cadono precisamente in questa stessa categoria, [ossia quella del] “l'articolazione del paradigma”. (…) C'è sempre molto lavoro affascinante da fare per migliorare l'accordo tra un paradigma e la natura in un'area dove si è già dimostrato (almeno) un limitato accordo. (…) [Dunque, per i motivi sopra riportati] Lo scienziato impegnato in quella che io ora chiamo “ricerca normale”, ossia basata su un paradigma, non risponde affatto all'immagine dello scienziato (…) come inventore di teorie nuove di zecca che consentono previsioni impressionanti e inaspettate. Al contrario: (…) la sfida [della ricerca normale] non è svelare ciò che non è noto, ma ottenere ciò che è noto [sulla base del paradigma del momento]. (…) Dato quel paradigma e l'indispensabile fiducia in esso, lo scienziato cessa del tutto di essere un esploratore (…) di ciò che è sconosciuto. Invece, egli lotta per articolare e per concretizzare quanto già si conosce [sulla base del paradigma di riferimento in quel momento storico]. (…) In queste circostanze possiamo sorprenderci del fatto che gli scienziati oppongano resistenza al cambiamento di paradigma? (…) Inevitabilmente l'impresa che impegna lo scienziato è caratterizzata [in questo caso] da una visione drasticamente ristretta…
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Messaggio da Etere » 09/09/2014, 22:21
In conclusione, secondo Kuhn, la scienza normale può rivelarsi dogmatica perché sopprime la novità, ma ciononostante sarà comunque in grado di farla nascere. Essa somiglia quindi a un Giano bifronte: infatti, da un lato è dogmatica perché l’attività - diretta ad articolare il paradigma - in cui si impegna lo scienziato durante la scienza normale necessita inevitabilmente di una apparecchiatura sofisticata (progettata e costruita appositamente per poter assolvere alle funzioni prescritte dal paradigma), dello sviluppo un vocabolario tecnico, di un affinamento dei concetti su cui si fonda il paradigma, etc., cioè di un livello di specializzazione che, come spiega Kuhn, “porta a un estremo restringimento della visione dello scienziato” poiché un’eventuale novità “emergerà soltanto con difficoltà, [difficoltà] che si manifesta attraverso la resistenza [da parte degli scienziati che sostengono gli assunti del paradigma], in contrasto con un sottofondo costituito dall’aspettazione [di ciò che il paradigma prevede espressamente]. All’inizio si percepisce [quindi] soltanto ciò che si aspetta e che è usuale [sulla base del paradigma dato]”; dall’altro lato la scienza normale è comunque in grado di far emergere la novità poiché senza l’apparecchiatura specifica di cui abbiamo detto la novità stessa non potrebbe manifestarsi. Infatti è grazie proprio a tale apparecchiatura che gli scienziati, per effetto di osservazioni successive, si rendono conto che c’è qualcosa di errato, qualcosa che non funziona più - un’anomalia - nelle previsioni del paradigma: “La novità di solito emerge soltanto per colui che, conoscendo con precisione che cosa dovrebbe aspettarsi [sulla base delle previsioni stabilite dal paradigma di riferimento, delle apparecchiature tecniche, etc.], è in grado [a un certo punto] di rendersi conto che qualcosa non funziona [più]. L’anomalia è [dunque] visibile soltanto sullo sfondo fornito dal paradigma” (T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, 2009, pag. 88-89).
*Le note tra parentesi quadre sono mie.
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Messaggio da Etere » 11/09/2014, 22:02
T. Kuhn, nel suo La tensione essenziale (una raccolta di scritti del 1977), scrive appunto che: “Le anomalie non emergono dal corso normale della ricerca scientifica fino a che sia gli strumenti che i concetti non si siano tanto sviluppati da rendere il loro emergere probabile e rendere l’anomalia che ne risulta riconoscibile come violazione delle attese [basate sulle previsioni del paradigma]. Dire che una scoperta inattesa ha inizio solo quando qualche cosa va male, equivale a dire che ha inizio solo quando gli scienziati conoscono bene sia come si dovrebbero comportare i loro strumenti, sia come si dovrebbe comportare la natura [secondo le previsioni\attese del paradigma]”.Etere ha scritto: Dall’altro lato la scienza normale è comunque in grado di far emergere la novità poiché senza l’apparecchiatura specifica di cui abbiamo detto la novità stessa non potrebbe manifestarsi. Infatti è grazie proprio a tale apparecchiatura che gli scienziati, per effetto di osservazioni successive, si rendono conto che c’è qualcosa di errato, qualcosa che non funziona più - un’anomalia - nelle previsioni del paradigma: “La novità di solito emerge soltanto per colui che, conoscendo con precisione che cosa dovrebbe aspettarsi [sulla base delle previsioni stabilite dal paradigma di riferimento, delle apparecchiature tecniche, etc.], è in grado [a un certo punto] di rendersi conto che qualcosa non funziona [più]. L’anomalia è [dunque] visibile soltanto sullo sfondo fornito dal paradigma” (T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, 2009, pag. 88-89).
*Le note tra parentesi quadre sono mie.
L'anomalia è, dunque, per eccellenza, occasione di cambiamento di un paradigma. Un esempio di anomalia: il perielio del pianeta Mercurio…
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Messaggio da Etere » 14/09/2014, 22:06
Concludo definitivamente questa recensione scusandomi per essermi dilungato oltremisura. La filosofia della scienza è una disciplina che mi appassiona molto e inoltre recensire mi è utile per sintetizzare e centrare maggiormente un argomento come quello del dogmatismo nella ricerca scientifica che ho approfondito in passato sui saggi e sulle raccolte di Kuhn che ho citato in questo thread. Grazie per l’attenzione.Etere ha scritto:[...]
L'anomalia è, dunque, per eccellenza, occasione di cambiamento di un paradigma. Un esempio di anomalia: il perielio del pianeta Mercurio…


Nel 1781, l’astronomo William Herschel scoprì casualmente Urano (lo osservò nell’obiettivo del suo telescopio mentre stava cercando delle stelle doppie). Successivamente a questa fortunosa scoperta, ci si accorse però, in conseguenza delle osservazioni e dei calcoli eseguiti per determinare esattamente l’orbita di Urano, che il nuovo pianeta del sistema solare deviava dall’orbita prevista sulla base della Meccanica celeste di Newton (si rilevò una differenza tra le previsioni e la posizione vera di 20 secondi d'arco circa). Il paradigma newtoniano (a quel tempo dominante e considerato inconfutabile) presentava dunque un’anomalia dato che, come già detto, l’orbita di Urano osservata non risultava conforme alle previsioni della legge di gravitazione universale di Newton. La comunità scientifica, assolutamente convinta dell’infallibilità della teoria newtoniana, ipotizzò l’esistenza di uno sconosciuto pianeta (posizionato più esternamente rispetto a Urano) la cui presenza perturbava l'orbita di Urano. In particolare, due astronomi si dedicarono con profitto alla soluzione del problema: U. Le Verrier e Adams (quest’ultimo, prima di intraprendere le sue ricerche, scrisse a un amico confidandogli di essere "convinto che il disaccordo che per un certo periodo di tempo aveva messo in dubbio la verità della legge [di gravitazione universale newtoniana] avrebbe finito per fornirne la conferma più brillante [della validità della stessa]"). Le Verrier, i base ai suoi calcoli, istruì per lettera due astronomi in servizio presso l'Osservatorio di Berlino - diretto all’epoca da J. F. Encke - , indicando loro “una zona del cielo nella quale potrebbe trovarsi un pianeta da scoprire” e pregandoli di esaminarla tramite le apparecchiature dell’Osservatorio. Fu così che il nuovo pianeta, battezzato Nettuno, fu trovato a meno di un grado dalla posizione prevista da Le Verrier. J. F. Encke, congratulandosi con Le Verrier per la sensazionale scoperta di Nettuno, gli scrisse: " Il vostro nome sarà per sempre legato alla più superba dimostrazione che si possa immaginare della validità della [legge di] gravitazione universale [newtoniana] e credo che queste parole riassumano tutta l'ambizione che uno scienziato possa desiderare". La scoperta di Nettuno ristabiliva così, nel modo più sensazionale, l’accordo tra la meccanica newtoniana e i dati astronomici. Essa era riuscita a dimostrare che l’anomalia osservata non era stata in grado di mettere realmente in crisi la legge di gravitazione universale di Newton (e inoltre, si era riusciti a predire anche l’esistenza di un nuovo pianeta del sistema solare!).
Successivamente alla trionfale scoperta di Nettuno, Le Verrier si trovò però a dover affrontare un’altra grave anomalia concernente un altro pianeta: l'anomalo avanzamento (“precessione”) del perielio di Mercurio (vi era infatti una discrepanza di 43 secondi d'arco per secolo tra il calcolo di Newton e la precessione osservata); Le Verrier, anche in questo caso (confortato altresì dalle osservazioni di un certo Lescarbaul, un astronomo dilettante che asseriva di aver individuato un pianeta tra Mercurio e il Sole), ipotizzò l’esistenza di un pianeta (intramercuriale) perturbatore, che chiamò «Vulcano». Le Verrier ne calcolò l’orbita e i transiti sul sole ma Vulcano non fu mai scoperto perché, semplicemente, non esiste. Dunque, le perturbazioni di Mercurio non trovarono spiegazione. La teoria di Newton, entrata in crisi, fu abbandonata però solo successivamente in conseguenza dell’affermazione del nuovo paradigma della Relatività generale di Albert Einstein che fu capace di spiegare l’anomalia della precessione del perielio di Mercurio (Einstein, nel 1916, scrisse: "i [miei] calcoli danno per il pianeta Mercurio una rotazione dell'orbita di 43″ per secolo, che corrisponde esattamente all'osservazione astronomica").
Concludendo: come detto in calce al mio post precedente, l'anomalia è “occasione” per il cambiamento di un paradigma (cioè essa, “potenzialmente”, prepara il terreno per l’avvento di un nuovo paradigma). Il virgolettato intende segnalare precisamente che l’insorgenza di un’anomalia non comporta di per sé (automaticamente) la crisi e la sostituzione del vecchio paradigma con uno nuovo, ma piuttosto che essa - se il paradigma non è capace di darne spiegazione - spiana la strada all’affermazione di un nuovo paradigma che sarà invece perfettamente in grado di spiegare e risolvere l’anomalia stessa.
*Riguardo alle scoperte di Urano e Nettuno e in merito alla problematica inerente il perielio di Mercurio ho consultato come fonte principalmente Robert W. Smith, 2003.
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