"Hotel...", Charles Simic

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Etere
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"Hotel...", Charles Simic

Messaggio da Etere » 27/04/2015, 0:07

Riporto qui tre poesie tratte da “Hotel Insonnia” di Charles Simic
(Charles Simic, “Hotel Insonnia”, Adelphi ediz., 2002):



Macelleria

Qualche volta cammino a notte fonda
e mi fermo davanti a una macelleria chiusa.
C'è solo una luce nel negozio,
la luce del forzato che scava il suo tunnel.

Un grembiule pende dall'uncino:
il sangue lo macchia con la mappa
dei grandi continenti di sangue,
i grandi fiumi e gli oceani di sangue.

Ci sono coltelli luccicanti come altari
in una chiesa buia
dove portano lo storpio e l'imbecille
perché siano risanati.

C'è un ceppo di legno dove vengono rotte ossa
tirato a lucido - un fiume disseccato fino al suo letto
dove vengo nutrito,
dove profonda nella notte sento una voce




***


Sasso

Càlati in un sasso,
io farei così.
Lascia che altri si facciano colomba
o digrignino i denti come tigri.
Mi basta essere un sasso.

All'esterno è un enigma:
nessuno sa come rispondere.
Ma fresco e quiete dev'esserci all'interno.
Anche se una mucca lo calca col suo peso,
anche se un bambino lo getta dentro un fiume;
il sasso affonda, lento, imperturbato,
fino al fondo
dove i pesci bussano alla sua soglia
e vengono a origliare.

Ho visto scintille schizzar via
quando due sassi sono strofinati,
forse là dentro non fa così buio;
forse c'è una luna che brilla
da chissà dove, spuntando magari dietro un colle -
un chiarore appena sufficiente a decifrare
quelle strane scritte, mappe stellari
sui muri interiori



***



Ragazzo prodigio


Sono cresciuto chino
su una scacchiera.

Amavo la parola scaccomatto.

Il che sembrava impensierire i miei cugini.

Era piccola la casa,
accanto a un cimitero romano.
I suoi vetri tremavano
per via di carri armati e caccia.

Fu un professore di astronomia in pensione
che m'insegnò a giocare.

L'anno, probabilmente, il '44.

Lo smalto dei pezzi che usavamo,
quelli neri,
era quasi del tutto scrostato.

II Re bianco andò perduto,
dovemmo sostituirlo.

Mi hanno detto, ma non credo sia vero,
che quell'estate vidi
gente impiccata ai pali del telefono.

Ricordo che mia madre
spesso mi bendava gli occhi.
Con quel suo modo spiccio d'infilarmi
la testa sotto la falda del soprabito.

Anche negli scacchi, mi disse il professore,
i maestri giocano bendati,
i campioni, poi, su diverse scacchiere
contemporaneamente
Senza il sol nulla son io