"Una versione dei fatti", W. Szymborska
Inviato: 01/06/2014, 23:53
Se ci fu permesso di scegliere,
dobbiamo avere riflettuto a lungo.
I corpi a noi proposti erano scomodi
e si sciupavano laidamente.
I modi di appagare la fame
ci disgustavano,
l’eredità passiva dei tratti
e la tirannia delle ghiandole
ci ripugnavano.
II mondo che avrebbe dovuto circondarci
era in continua disgregazione.
Vi impazzavano gli effetti delle cause.
Con tristezza e orrore
respingemmo gran parte
dei destini individuali
a noi dati in visione.
Ci chiedevamo ad esempio
se valga la pena partorire nel dolore
un bambino morto
e a che serva essere un navigante
che non giungerà mai a riva.
Accettavamo la morte,
ma non in ogni forma.
Ci attirava l’amore,
d’accordo, ma un amore
che mantiene le sue promesse.
Ci scoraggiavano
dal metterci al servizio dell’arte
sia l’instabilità dei giudizi
che la precarietà dei capolavori.
Ciascuno voleva una patria senza vicini
e trascorrere la vita
nell’intervallo tra le guerre.
Nessuno di noi voleva prendere il potere
o sottostare ad esso,
nessuno voleva essere la vittima
delle proprie e delle altrui illusioni,
non c’erano volontari
per folle, cortei
e ancor meno per tribù in estinzione
— senza di che tuttavia la storia
non potrebbe seguire il suo corso
nei secoli previsti.
Nel frattempo un gran numero
di stelle accese
si era già spento e raffreddato.
Era ora di prendere una decisione.
Pur con molte riserve
spuntarono infine candidati
al ruolo di qualche scopritore e guaritore,
di pochi filosofi oscuri,
di un paio di giardinieri anonimi,
prestigiatori e musicanti —
benché in mancanza di altre domande
perfino queste vite
non avrebbero potuto compiersi.
Bisognava ancora una volta
ripensare tutta la faccenda.
Ci era stata fatta
la proposta di un viaggio
da cui dopotutto saremmo ritornati
presto e di sicuro.
Un soggiorno oltre l’eternità,
comunque monotona
e ignara del passare del tempo,
avrebbe potuto non ripetersi mai più.
Fummo assaliti dai dubbi:
sapendo tutto in anticipo
sappiamo veramente tutto?
Una scelta così prematura
è davvero una scelta?
Non sarà meglio
dimenticarla?
E dovendo scegliere
— allora scegliere laggiù?
Guardammo la Terra.
Ci viveva già qualche temerario.
Una pianta gracile
si aggrappava alla roccia
con l’incosciente fiducia
che il vento non l’avrebbe strappata.
Un piccolo animale
si trascinava fuori dalla tana
con uno sforzo e una speranza per noi strani.
Ci sembrammo troppo prudenti,
meschini e ridicoli.
D’altronde cominciammo presto a diminuire.
I più impazienti sparirono da qualche parte.
Erano andati per primi alla prova del fuoco
— sì, era chiaro.
Lo stavano appunto accendendo
sulla sponda scoscesa d’un fiume reale.
Alcuni
già stavano addirittura tornando.
Ma non nella nostra direzione.
E con qualcosa forse tra le mani?
dobbiamo avere riflettuto a lungo.
I corpi a noi proposti erano scomodi
e si sciupavano laidamente.
I modi di appagare la fame
ci disgustavano,
l’eredità passiva dei tratti
e la tirannia delle ghiandole
ci ripugnavano.
II mondo che avrebbe dovuto circondarci
era in continua disgregazione.
Vi impazzavano gli effetti delle cause.
Con tristezza e orrore
respingemmo gran parte
dei destini individuali
a noi dati in visione.
Ci chiedevamo ad esempio
se valga la pena partorire nel dolore
un bambino morto
e a che serva essere un navigante
che non giungerà mai a riva.
Accettavamo la morte,
ma non in ogni forma.
Ci attirava l’amore,
d’accordo, ma un amore
che mantiene le sue promesse.
Ci scoraggiavano
dal metterci al servizio dell’arte
sia l’instabilità dei giudizi
che la precarietà dei capolavori.
Ciascuno voleva una patria senza vicini
e trascorrere la vita
nell’intervallo tra le guerre.
Nessuno di noi voleva prendere il potere
o sottostare ad esso,
nessuno voleva essere la vittima
delle proprie e delle altrui illusioni,
non c’erano volontari
per folle, cortei
e ancor meno per tribù in estinzione
— senza di che tuttavia la storia
non potrebbe seguire il suo corso
nei secoli previsti.
Nel frattempo un gran numero
di stelle accese
si era già spento e raffreddato.
Era ora di prendere una decisione.
Pur con molte riserve
spuntarono infine candidati
al ruolo di qualche scopritore e guaritore,
di pochi filosofi oscuri,
di un paio di giardinieri anonimi,
prestigiatori e musicanti —
benché in mancanza di altre domande
perfino queste vite
non avrebbero potuto compiersi.
Bisognava ancora una volta
ripensare tutta la faccenda.
Ci era stata fatta
la proposta di un viaggio
da cui dopotutto saremmo ritornati
presto e di sicuro.
Un soggiorno oltre l’eternità,
comunque monotona
e ignara del passare del tempo,
avrebbe potuto non ripetersi mai più.
Fummo assaliti dai dubbi:
sapendo tutto in anticipo
sappiamo veramente tutto?
Una scelta così prematura
è davvero una scelta?
Non sarà meglio
dimenticarla?
E dovendo scegliere
— allora scegliere laggiù?
Guardammo la Terra.
Ci viveva già qualche temerario.
Una pianta gracile
si aggrappava alla roccia
con l’incosciente fiducia
che il vento non l’avrebbe strappata.
Un piccolo animale
si trascinava fuori dalla tana
con uno sforzo e una speranza per noi strani.
Ci sembrammo troppo prudenti,
meschini e ridicoli.
D’altronde cominciammo presto a diminuire.
I più impazienti sparirono da qualche parte.
Erano andati per primi alla prova del fuoco
— sì, era chiaro.
Lo stavano appunto accendendo
sulla sponda scoscesa d’un fiume reale.
Alcuni
già stavano addirittura tornando.
Ma non nella nostra direzione.
E con qualcosa forse tra le mani?