Un mio racconto.... preparate i kleenex
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- damabianca
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Un mio racconto.... preparate i kleenex
Messaggio da damabianca » 31/01/2011, 23:56
Piccola Serva Certezza
La polvere danzava nel lo spicchio di tramonto che l’abbandono di un’anta regalava al ventre dell’antica casa padronale. “Tanto oro frutto di una dimenticanza” pensava la Serva china sul Tavolo di Cristallo. “Tanto oro per me che ho perso la bellezza delle mie mani in vane carezza a questo sposo muto” con tenerezza familiare sfiorava quella superficie inesistente, il collo sottile dolcemente reclinato sulla spalla. La delicatezza delle sue lunghe dita mutavano il panno in seta e il Tavolo di Cristallo in un gran signore agghindato di calici di svariate fattezze e coltelli d’argenti. La spalla stanca sosteneva il movimento delle sue bianche mani e lo mormorava all’orecchio di quel piccolo capo di Serva. Sorrideva senza scomodare per una sua vana commozione alcun lineamento del volto e rispondeva alla mano, e alla spalla che parlava per conto di essa, con la sua consueta cortesia. “ Lo so che sono anni e che voi non me lo avete mai chiesto, ma pazientate ancora se potete. So che è solo su di voi che posso rivalermi nel pretendere pazienza ed in questo la misura del mio egoismo è infinito e servile come si addice al mio rango. Vi chiedo di pazientare ancora se potete, perché il mio compito qui è infinito. Se proprio non potete però, e dovete abbandonarmi per morte o miglior sorte allora andate. Ricorderò con affetto la vostra bellezza rilucere al cadere dei miei panni logori, quando sole restavamo nella penombra baluginante del sottotetto. Eravate degne d’amore perché semplicemente belle, eppur non fuggiste da me per cercare i baci per cui eravate nate. Piccole spalle, ali per amanti e lunghe dita pallide come petali, da sfilare una ad una. M’ama non m’ama? Fino a che non restasse il tondo d’oro del vostro fiore, come un anello di sposa. Ed io Serva vi ho speso in anni di abbracci vani a questo glaciale cerchio perfetto, senza mai riuscire a cingerne per intero il ventre troppo largo. La mia schiena che era uno stelo di giglio, come natura vuole, passato il suo tempo chinò il capo e appassì.”
Sentì che mani e spalle la stavano lasciando. Si sedette così accanto al Signore delle Stoviglie. Quanti calici servivano a renderlo bello. Alcuni erano sfrenatamente verticali, altri pingui come il ventre di un villano. Oh come erano belli quelli, quando il vino li colmava… Divenivano rubini e giardini di ambre profumati. I gioielli del suo Signore Trasparente come erano belli, ed il suo Signore con essi, benché il suo corpo non fosse mai stato più che un miraggio d’astuta bellezza da spolverare affinché non si perdesse. Come era stanca. Posò il panno sulle sue ginocchia e lo osservò. Era davvero solo un straccio come lei e le sue vesti. L’amore l’aveva illusa di essere seta nel lustrare il suo Signore. Sorrise della sua pochezza “Ovvio che abbia dovuto lucidarti ogni giorno della tua vita e che la polvere continui ad insidiarti, mio Signore. Ne io ne questo panno siamo degni di te”. Alzò gli occhi la Serva e li immerse nella fetta di tramonto in cui la polvere danzava. Era bella. Immaginava così i teatri che non aveva mai visto e la leggerezza delle Dame che potevano sedersi attorno al Signore di Cristallo, cingendolo per intero con braccia morbide come colombe. Godette della loro danza concentrica e infinita. Fosse stato per lei, quei ballerini stranieri e leggeri avrebbero potuto posarsi e trovar per se altre commedie. Ma così non amava il suo Signore e così quindi non avrebbe permesso che fosse. La troppa bellezza che gustò ridestò in lei il presentimento che in qualche parte di sé, seppur l’avesse ben nascosta, vi fosse un che di sconveniente, amore forse. Per questo, e per tale dubbio, non aveva ormai più tempo e riordinò come sempre.
25 Aprile 2010
La polvere danzava nel lo spicchio di tramonto che l’abbandono di un’anta regalava al ventre dell’antica casa padronale. “Tanto oro frutto di una dimenticanza” pensava la Serva china sul Tavolo di Cristallo. “Tanto oro per me che ho perso la bellezza delle mie mani in vane carezza a questo sposo muto” con tenerezza familiare sfiorava quella superficie inesistente, il collo sottile dolcemente reclinato sulla spalla. La delicatezza delle sue lunghe dita mutavano il panno in seta e il Tavolo di Cristallo in un gran signore agghindato di calici di svariate fattezze e coltelli d’argenti. La spalla stanca sosteneva il movimento delle sue bianche mani e lo mormorava all’orecchio di quel piccolo capo di Serva. Sorrideva senza scomodare per una sua vana commozione alcun lineamento del volto e rispondeva alla mano, e alla spalla che parlava per conto di essa, con la sua consueta cortesia. “ Lo so che sono anni e che voi non me lo avete mai chiesto, ma pazientate ancora se potete. So che è solo su di voi che posso rivalermi nel pretendere pazienza ed in questo la misura del mio egoismo è infinito e servile come si addice al mio rango. Vi chiedo di pazientare ancora se potete, perché il mio compito qui è infinito. Se proprio non potete però, e dovete abbandonarmi per morte o miglior sorte allora andate. Ricorderò con affetto la vostra bellezza rilucere al cadere dei miei panni logori, quando sole restavamo nella penombra baluginante del sottotetto. Eravate degne d’amore perché semplicemente belle, eppur non fuggiste da me per cercare i baci per cui eravate nate. Piccole spalle, ali per amanti e lunghe dita pallide come petali, da sfilare una ad una. M’ama non m’ama? Fino a che non restasse il tondo d’oro del vostro fiore, come un anello di sposa. Ed io Serva vi ho speso in anni di abbracci vani a questo glaciale cerchio perfetto, senza mai riuscire a cingerne per intero il ventre troppo largo. La mia schiena che era uno stelo di giglio, come natura vuole, passato il suo tempo chinò il capo e appassì.”
Sentì che mani e spalle la stavano lasciando. Si sedette così accanto al Signore delle Stoviglie. Quanti calici servivano a renderlo bello. Alcuni erano sfrenatamente verticali, altri pingui come il ventre di un villano. Oh come erano belli quelli, quando il vino li colmava… Divenivano rubini e giardini di ambre profumati. I gioielli del suo Signore Trasparente come erano belli, ed il suo Signore con essi, benché il suo corpo non fosse mai stato più che un miraggio d’astuta bellezza da spolverare affinché non si perdesse. Come era stanca. Posò il panno sulle sue ginocchia e lo osservò. Era davvero solo un straccio come lei e le sue vesti. L’amore l’aveva illusa di essere seta nel lustrare il suo Signore. Sorrise della sua pochezza “Ovvio che abbia dovuto lucidarti ogni giorno della tua vita e che la polvere continui ad insidiarti, mio Signore. Ne io ne questo panno siamo degni di te”. Alzò gli occhi la Serva e li immerse nella fetta di tramonto in cui la polvere danzava. Era bella. Immaginava così i teatri che non aveva mai visto e la leggerezza delle Dame che potevano sedersi attorno al Signore di Cristallo, cingendolo per intero con braccia morbide come colombe. Godette della loro danza concentrica e infinita. Fosse stato per lei, quei ballerini stranieri e leggeri avrebbero potuto posarsi e trovar per se altre commedie. Ma così non amava il suo Signore e così quindi non avrebbe permesso che fosse. La troppa bellezza che gustò ridestò in lei il presentimento che in qualche parte di sé, seppur l’avesse ben nascosta, vi fosse un che di sconveniente, amore forse. Per questo, e per tale dubbio, non aveva ormai più tempo e riordinò come sempre.
25 Aprile 2010
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