Il suo mondo in fondo era piccolo piccolo

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ZioBob

Il suo mondo in fondo era piccolo piccolo

Messaggio da ZioBob » 20/08/2009, 0:42

Il suo mondo in fondo era piccolo piccolo. Quasi nulla insomma oltre alle quattro mura che divideva con il suo gatto. Ma quel poco bastava, almeno per sopravvivere.
Non si sentiva solo, o meglio, non si sentiva più solo. Aveva cercato e trovato un suo equilibrio realizzando che i luoghi comuni nascondono un fondo di verità, più o meno evidente ma pur sempre vero ed in quella verità aveva trovato se stesso. Di donne era un pezzo che non ne giravano per casa, poche storie, solo una importante, finita male. Di ognuna conservava più di ogni altra cosa gli odori. I volti erano irrimediabilmente sbiaditi ma in qualche posto nella memoria nascondeva profumi che evocavano sensazioni a volte tanto intense e palpabili da sembrare sensibilmente reali.
In una giornata di dicembre a pochi passi dal Natale cerano tutti i presupposti per sentirsi inutile. Ma non era il suo caso. Seduto sulla poltrona osservava la pioggia chiedendosi se sarebbe cessata prima che i prati circostanti si trasformassero in risaie. La cosa non lo interessava più di tanto in un senso o nell’altro qualcosa doveva pur accadere.
Portò la sigaretta alla bocca in un gesto tutto suo. Ricercato e provato migliaia di volte. Non si definiva un fumatore. Fumava per il solo gusto di prendere la sigaretta tra le labbra e di lasciarla lì, appesa, osservando il mondo da occhi ridotti a misere fessure.
Non aveva nulla da fare quella mattina se non aspettare. Non sapeva cosa o chi ma quella sensazione di attesa lo aveva colpito violentemente già dalle prime ore del mattino un po’ come il freddo pungente della sua camera da letto. Pur essendo sabato si era alzato presto contrariamente alle sue abitudini.
Si era buttato sotto la doccia cercando un perché ma senza tante convinzioni. Amava sentire l’acqua scorrere sul corpo. Caldissima e briosa. Tonificante. Si era insaponato pigramente senza nessuna voglia di terminare quel rituale mattutino. Per lunghi minuti era stato in bilico come un equilibrista sul filo a trovare il coraggio per uscire da quel nido di vapore. Alla fine si era gettato a capofitto nel suo accappatoio giallo che di accogliente aveva solo il ricordo. Era ora di cambiarlo.
Ora aspettava seduto sulla poltrona. Aspettava come le ultime foglie di un autunno ormai passato ad inverno supplicavano di cadere. Aspettava con la stessa sensazione che oramai l’attimo fosse passato e che la storia si fosse interrotta così. Senza fine. Senza un lieto fine.
Per strada passavano pigre autovetture dirette a far spese nei centri commerciali. Aperti sabato e domenica, orario continuato. Aveva provato più volte l’esigenza da parte di quelli che frequentava di trovarlo sempre così. Aperto e sorridente. Ventiquattro ore su ventiquattro, sabato, domenica e festivi. Anche le cassiere sono in***** la domenica pomeriggio?
Ma oggi non era così, niente fretta. Solo attesa. Che finì come tutte le attese, in un ora imprecisata della mattinata nell’attimo in cui un lungo ma non fastidioso squillo del campanello di casa lo scosse. Sembrò partire da lontano, molto lontano, per concentrarsi ed infilarsi su quei pochi fili elettrici che dal pulsante posto a destra della porta d’ingresso portavano al cicalino appena sopra l’entrata. E quel suono impossessatosi pienamente di tutto il volume delle sue stanze lo sembrò chiamare per nome.
Si alzò di fretta ma senza correre. Si portò alla porta con passi decisi. Decisi e precisi al punto da sembrare artefatti e studiati da tempo. Porto le mani alla maniglia e la strinse tanto da sentire una fitta nel palmo della mano. Aprì la porta. Senza usare quello spioncino che sulla fattura del suo portoncino blindato era apparso alla voce accessori più duecento euro. Per la verità forse non lo aveva mai utilizzato.
Di fronte a lui il viso della sorella Marta.
“Ciao che sorpresa!” e così dicendo capì quanto vere fossero le sue parole. Sorprese e preoccupate. Gli occhi di lei lo guardarono come una diciottenne guarda il suo primo fidanzato. Occhi persi ed innamorati. “Non sapevo che ti avessero….” le sue parole si interruppero con lo stupore di chi non afferra il senso di ciò che stava accadendo.
La lama che aveva squarciato la sua camicia beige cominciava già a quel punto a penetrare fluidamente nei tessuti muscolari del suo addome.
Il sorriso si spense a metà mentre cadeva. Trattenne a stento il suo urlo di dolore senza sapere il perché.
Steso con la figura della sorella in piedi coronata dalla luce del giorno e pregna dell’odore della pioggia che lo osservava chiuse gli occhi. E smise di aspettare.