Quando si scrive, lo si fa per bene. Se no, niente.
Quando accade, non si fugna e non si ripesca dagli altri : ci si fa capire, anche se il tutto accade solo per spegnere il fuoco nella cantina buia, laggiù in fondo. Quella che ci compare nei sogni : sì, proprio, scendo giù nell’ inconscio e (ri)trovo le persone perse . Vive o morte.
Perse perché di giorno mi amano, mentre di notte mi odiano. O viceversa.
Perse perché ho dolore, e la loro morte mi si sgrana addosso in immagini rallentate e riproposte mille volte.
Lui, lei, loro, gli altri che corrono e mitragliate eccessive nella schiena. L’ esecuzione è un attimo. Come è breve : uno stupore, una bocca che si apre, urlando, nell’ immobilità dell’ attimo fermo. Nell’ eternità irrisoria, fatta di secondi importanti.
E come tutto cambia.
E come tutto scorre : la vita prima (quanta quanta…) , la vita dopo .
Guidando.
Non c’ è bisogno di granché, fortunatamente . Perché il film, quello vero, continua a scorrere. Ed è un attimo. Un flash, un bagliore, una straordinaria capacità della mente. Tutta la vita in linea, nitida come quelle albe serene e profumate, che scorrono, però, a velocità indicibile. Eppure rallentata, visibile nel più assurdo e piccolo particolare .
E” il cervello, di certo, colpa sua, lui così affascinante, così affabulatore, così ingannatore, così istrione, il solito guitto, regista, scrittore, sceneggiatore, tutto bene e tanto bravo, se non fosse che io, ora, devo uscire dall’ autostrada.
Il film è finito.
