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Birnam wood prophecy

La nostra storia...

Messaggio da Birnam wood prophecy » 06/09/2012, 13:29

In questo suggestivo video c'è un errore (qualcuno potrebbe pensare alla comparsa dell'uomo... :DD ma quella non è un errore, al massimo una sciagura...). L'ho individuato subito mentre guardavo il video stesso. Ho letto i commenti in calce degli internauti, ma a parte qualcuno che ha rilevato alcuni sfasamenti cronologici, nessuno sino ad ora si è accorto dell'errore... :DD

http://video.corriere.it/dal-big-bang-internet/commenti-full/ba801a1a-f7f6-11e1-a29d-c7eff3c66a96

rubina88


Messaggio da rubina88 » 06/09/2012, 13:52

grazie

Sims
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Re: La nostra storia...

Messaggio da Sims » 06/09/2012, 17:06

Birnam wood prophecy ha scritto:In questo suggestivo video c'è un errore (qualcuno potrebbe pensare alla comparsa dell'uomo... :DD ma quella non è un errore, al massimo una sciagura...). L'ho individuato subito mentre guardavo il video stesso. Ho letto i commenti in calce degli internauti, ma a parte qualcuno che ha rilevato alcuni sfasamenti cronologici, nessuno sino ad ora si è accorto dell'errore... :DD

http://video.corriere.it/dal-big-bang-internet/commenti-full/ba801a1a-f7f6-11e1-a29d-c7eff3c66a96
Per me è troppo veloce perché possa notare pure un errore. Ma sei sicuro che ci sia? Forse se nessun'altro se n'è accorto potrebbe non essere un errore!

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arietina76
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Re: La nostra storia...

Messaggio da arietina76 » 06/09/2012, 18:02

Sims ha scritto:[...]



Per me è troppo veloce perché possa notare pure un errore. Ma sei sicuro che ci sia? Forse se nessun'altro se n'è accorto potrebbe non essere un errore!
è vero, è velocissimo!
io devo guardarlo qualche volta, prima di pensare di notare qualcosa di strano. ;) :DD

Birnam wood prophecy

Re: La nostra storia...

Messaggio da Birnam wood prophecy » 06/09/2012, 20:43

Sims ha scritto:[...]



Per me è troppo veloce perché possa notare pure un errore. Ma sei sicuro che ci sia? Forse se nessun'altro se n'è accorto potrebbe non essere un errore!
C'è una illustrazione che dal punto di vista scientifico è sbagliata ;) ...andava bene un secolo fa :rolleyes:

Birnam wood prophecy


Messaggio da Birnam wood prophecy » 06/09/2012, 21:03

Si tratta di questa:



[URL=http://img187.imagevenue.com/img.php?image=956301213_fo770x434_122_516lo.jpg][img]http://img187.imagevenue.com/loc516/th_956301213_fo770x434_122_516lo.jpg[/img][/URL]



[url=http://img187.imagevenue.com/img.php?image=956301213_fo770x434_122_516lo.jpg][img=http://img187.imagevenue.com/loc516/th_956301213_fo770x434_122_516lo.jpg][/url]

Birnam wood prophecy


Messaggio da Birnam wood prophecy » 06/09/2012, 21:14

Birnam wood prophecy ha scritto:Si tratta di questa:



[URL=http://img187.imagevenue.com/img.php?image=956301213_fo770x434_122_516lo.jpg][img]http://img187.imagevenue.com/loc516/th_956301213_fo770x434_122_516lo.jpg[/img][/URL]


E' errata perchè l'evoluzione dell'uomo non è lineare e progressiva (come raffigurata nell'illustrazione) ma ha invece una struttura "ramificata"...

Birnam wood prophecy


Messaggio da Birnam wood prophecy » 06/09/2012, 22:37

Birnam wood prophecy ha scritto:[...]


E' errata perchè l'evoluzione dell'uomo non è lineare e progressiva (come raffigurata nell'illustrazione) ma ha invece una struttura "ramificata"...
Nell'illustrazione in oggetto (che raffigura quella che S.J. Gould ironicamente chiamava "la marcia del progresso"...) è presentata una discendenza lineare, cioè, come spiega T. Pievani (in "La teoria dell'evoluzione", ediz. Il Mulino) “una storia naturale umana che segue un unico binario di successione progressiva di specie dalle australopitecine [la prima figura nell'illustrazione partendo da sinistra] fino ai sapiens [l'ultima figura a destra] passando per i grandi stadi intermedi di [habilis], erectus e neanderthal".
In realtà, l'evoluzione umana non è lineare, ma è caratterizzata da una discendenza ramificata "a cespuglio": infatti 30.000 anni fa sulla Terra vissero contemporaneamente almeno 3 specie umane: sapiens, neanderthalensis e floresiensis (quest'ultima nell’arcipelago indonesiano).

Birnam wood prophecy

Re: La nostra storia...

Messaggio da Birnam wood prophecy » 06/09/2012, 23:18

Birnam wood prophecy ha scritto:[...]


C'è una illustrazione che dal punto di vista scientifico è sbagliata ;) ...andava bene un secolo fa :rolleyes:
Gould disse che alcuni suoi libri (che egli scrisse nella seconda metà inoltrata del secolo scorso) furono pubblicati con in copertina la marcia del progresso:

"I miei libri sono dedicati a distruggere quest'immagine dell'evoluzione, ma io non ho il controllo sulle copertine delle loro traduzioni. La "marcia del progresso umano" è stata usata come illustrazione di copertina per ben quattro edizioni straniere dei miei libri".

L'errore in questione, dunque, non fu commesso soltanto un secolo fa, ma anche recentemente (anche - per esempio - da alcuni giornalisti scientifici dei più importanti quotidiani italiani).

Birnam wood prophecy


Messaggio da Birnam wood prophecy » 08/09/2012, 13:15

Birnam wood prophecy ha scritto:[...]
In realtà, l'evoluzione umana non è lineare, ma è caratterizzata da una discendenza ramificata "a cespuglio": infatti 30.000 anni fa sulla Terra vissero contemporaneamente almeno 3 specie umane: sapiens, neanderthalensis e floresiensis (quest'ultima nell’arcipelago indonesiano).
Il punto nodale del discorso è proprio questo e viene sintetizzato ottimamente da Mc Henry (1994) che critica implicitamente “la marcia del progresso” (le considerazioni tra parentesi quadre sono mie):

Nell’evoluzione degli ominidi, per lo più, le specie ancestrali si sovrappongono nel tempo ai discendenti (diventando così, in un dato periodo, coeve ad essi), cosa che non ci si attenderebbe per graduali trasformazioni anagenetiche [come quelle illustrate appunto nella lineare e progressiva “marcia del progresso”. Quando si parla di “graduali trasformazioni anagenetiche”, si intendono dunque dei cambiamenti graduali continuativi di una popolazione originaria nel corso del tempo: si tratta del c.d.“gradualismo filetico”, dell’evoluzione graduale (lenta e continua) di cui parla il neodarwinismo].
Questo concetto viene ulteriormente chiarito con un esempio da S. J. Gould (in “L’equilibrio punteggiato”, ediz. Codice, 2008, pag. 242):

“Innanzitutto, prima dell’origine del genere Homo, il clade delle australopitecine si diversificò in numerose specie [specie di aspetto “gracile” come australopithecus afarensis, ecc. e specie di aspetto “robusto” come australopithecus ethiopicus, ecc. ], alcune delle quali sopravvissero fino a diventare contemporanee a Homo. Da un punto di vista storico, la morte dell’ “ipotesi della singola specie” [cioè dell’ipotesi secondo cui due specie di ominidi non possono coesistere nello stesso habitat], si può far risalire alla scoperta (fatta da Leakey alla metà degli anni settanta) di due specie innegabilmente diverse all’interno dello stesso strato [geologico]: il più “iper-robusto” tra le australopitecine e il più “avanzato” Homo di quel periodo (la forma africana di Homo erectus, a cui spesso si attribuisce il rango di Homo ergaster su basi cladistiche). (…) Di fatto, fino a sei specie di ominidi possono aver convissuto in Africa durante il periodo cruciale della fase iniziale di diversificazione del genere Homo, compresi tre membri del genere Homo”.

Dalle considerazioni di Mc Henry e di S. J. Gould si evince dunque il ruolo decisivo del criterio di “sopravvivenza dell’antenato” (cioè di sovrapposizione dell'antenato ai discendenti) di cui si è detto: se l’antenato è sopravvissuto, ciò significa che la nuova specie deve essersi originata per cladogenesi.
Cladogenesi significa appunto “nascita di un ramo”.

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diamanda
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Messaggio da diamanda » 08/09/2012, 15:21

Birnam wood prophecy ha scritto:[...]


E' errata perchè l'evoluzione dell'uomo non è lineare e progressiva (come raffigurata nell'illustrazione) ma ha invece una struttura "ramificata"...
Sei per caso uno studioso di Tassonomia? :D Sai moltissime cose sull'evoluzione dell'uomo, è un argomento che ti appassiona?
L'alba torna sempre dopo una lunga e buia notte.

Birnam wood prophecy


Messaggio da Birnam wood prophecy » 08/09/2012, 15:36

diamanda ha scritto:[...]



Sei per caso uno studioso di Tassonomia? :D Sai moltissime cose sull'evoluzione dell'uomo, è un argomento che ti appassiona?
Molto...è normale che mi appassioni la nostra storia filogenetica... ;)

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Messaggio da justeyes89 » 08/09/2012, 16:49

Birnam wood prophecy ha scritto:[...]


Molto...è normale che mi appassioni la nostra storia filogenetica... ;)
Beh in realtà non é una passione molto comune. ;)
Preoccupati più del carattere che della tua reputazione,perchè il carattere è ciò che sei,la reputazione ciò che gli altri pensano di te

Birnam wood prophecy


Messaggio da Birnam wood prophecy » 09/09/2012, 15:11

Birnam wood prophecy ha scritto:[...]
Dalle considerazioni di Mc Henry e di S. J. Gould si evince dunque il ruolo decisivo del criterio di “sopravvivenza dell’antenato” (cioè di sovrapposizione dell'antenato ai discendenti) di cui si è detto: se l’antenato è sopravvissuto, ciò significa che la nuova specie deve essersi originata per cladogenesi.
Cladogenesi significa appunto “nascita di un ramo”.
In particolare, la “speciazione cladogenetica” [la “speciazione” è la comparsa di una nuova specie] è legata qui principalmente al modello della “speciazione allopatrica” [o “geografica”. Il termine allopatrica significa “altra patria”. Si tratta cioè, secondo la definizione data da Mayr, della nascita di una nuova specie in un luogo diverso da quello di origine]. Si pensi per es. ad una data popolazione che vive in un determinato areale. La “speciazione allopatrica” si verifica quando una piccola frazione della popolazione in oggetto (cioè un numero più o meno esiguo di individui), in seguito alla presenza di una barriera geografica (ad es. una frana, la modificazione del corso di un fiume, ecc.) viene a trovarsi improvvisamente separata, isolata dalla popolazione madre, isolata dall’areale parentale. Semplificando, se tale isolamento permane a lungo, la popolazione isolata finisce con il trasformarsi in una specie vera e propria diversa da quella originaria: ciò avviene perché, come scrive Pievani

gli individui rimasti isolati ”non possono più incontrare i loro [vecchi] compagni [dell’originario areale parentale] e quindi non possono nemmeno incrociarsi [riproduttivamente]. Non potendo scambiarsi l'informazione genetica, con il passare delle generazioni, le mutazioni genetiche accumulate da una popolazione [dalla popolazione di “pionieri” che si è separata da quella “madre”] saranno sempre più diverse da quelle accumulate nell'altra: succede infatti che i normali fattori evolutivi - mutazione, selezione naturale (…) - cominciano ad agire sulle due popolazioni, con la tendenza a farle divergere: i due gruppi dunque cominciano a separarsi geneticamente, vanno “alla deriva” l'uno rispetto all'altro”.

Poichè viene a cessare lo scambio di informazione genetica, le due popolazioni imboccano di conseguenza direzioni evolutive diverse. La nuova specie deriva dunque dall’originaria per una ramificazione (cladogenesi, come si è già detto, significa appunto “nascita di un ramo”).

Il ruolo rivestito dall'isolamento geografico era già stato affrontato da Darwin (i famosi fringuelli di Darwin), ma la chiave della svolta fu trovata soltanto da Niles Eldredge...

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Messaggio da Sims » 10/09/2012, 14:21

Birnam wood prophecy ha scritto:[...]


E' errata perchè l'evoluzione dell'uomo non è lineare e progressiva (come raffigurata nell'illustrazione) ma ha invece una struttura "ramificata"...
Ok, questa cosa la so. Però l'immagine usata è di immediata comprensione, è subito chiaro di cosa si vuole parlare. Come potresti con la stessa velocità illustrare la teoria della genesi ramificata? Se anche c'è un'immagine ugualmente chiara per il momento non è certo famosa quanto questa. Credo che potrebbe essere un errore ma potrebbe anche trattarsi semplicemente di una scelta di tipo pubblicitario, per sfruttare il più possibile il potere evocativo delle immagini dato che il tempo del filmato è pochissimo. Se ti chiedono di riassumere il concetto di evoluzione in un'immagine come lo fai?

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Messaggio da tempest » 10/09/2012, 14:38

Sims ha scritto:[...]



Ok, questa cosa la so. Però l'immagine usata è di immediata comprensione, è subito chiaro di cosa si vuole parlare. Come potresti con la stessa velocità illustrare la teoria della genesi ramificata? Se anche c'è un'immagine ugualmente chiara per il momento non è certo famosa quanto questa. Credo che potrebbe essere un errore ma potrebbe anche trattarsi semplicemente di una scelta di tipo pubblicitario, per sfruttare il più possibile il potere evocativo delle immagini dato che il tempo del filmato è pochissimo. Se ti chiedono di riassumere il concetto di evoluzione in un'immagine come lo fai?
Concordo.

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Messaggio da airlander » 10/09/2012, 19:49

tempest ha scritto:[...]
Concordo.
apprezzo sempre molto il dono della sintesi.... ;)
non cercare di diventare un uomo di successo ma piuttosto un uomo di valore
albert einstein
http://www.youtube.com/watch?v=8kaC4yCRR48

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Messaggio da tempest » 10/09/2012, 20:54

airlander ha scritto:[...]



apprezzo sempre molto il dono della sintesi.... ;)
Lo sfoggio raramente quì :DD Ma aveva detto tutto Sims!

Birnam wood prophecy


Messaggio da Birnam wood prophecy » 10/09/2012, 22:09

Sims ha scritto:[...]



Ok, questa cosa la so. Però l'immagine usata è di immediata comprensione, è subito chiaro di cosa si vuole parlare. Come potresti con la stessa velocità illustrare la teoria della genesi ramificata? Se anche c'è un'immagine ugualmente chiara per il momento non è certo famosa quanto questa. Credo che potrebbe essere un errore ma potrebbe anche trattarsi semplicemente di una scelta di tipo pubblicitario, per sfruttare il più possibile il potere evocativo delle immagini dato che il tempo del filmato è pochissimo. Se ti chiedono di riassumere il concetto di evoluzione in un'immagine come lo fai?
Nel mio secondo post, ho scritto che la famosa illustrazione “incriminata” è fallace "dal punto di vista scientifico"(nell’evoluzione umana infatti la vera regola non è rappresentata dal gradualismo, ma da forme di speciazione non anagenetica: la forma di speciazione in questione ha sostituito la vecchia “linearità” come fenomeno centrale della nostra filogenesi, come scrivono Johanson ed Edgar. L’unica eccezione sembrerebbe rappresentata da Homo erectus, dato che Wolpoff dimostrò in modo piuttosto convincente (ma il contenzioso è ancora aperto…) che si tratterebbe di un caso di gradualismo.
Un esempio: l'uomo di Neanderthal, secondo le tradizionali ipotesi anagenetiche era una forma di transizione, una forma intermedia, tra erectus e sapiens (come si può notare bene nella marcia del progresso”). Ebbene, in realtà ciò non è vero, dato che neanderthalensis deve essere considerato un “ramo” europeo di una popolazione locale di Homo erectus. Homo sapiens, come precisa Gould, si è quindi evoluto senza nessuna forma anatomica intermedia, “si è evoluto in un episodio speciativo distinto, probabilmente in Africa, e infine è migrato in Europa, sostituendosi agli uomini di Neanderthal“).
Capisco il tuo ragionamento Sims, ma non si può farne una questione di marketing: anzichè un'illustrazione che raffigura cinque idioti uno dietro l'altro, sarebbe stato altrettanto agevole disporli in posizione ramificata a cespuglio: in quest’ultimo caso probabilmente sarebbe venuta meno l'idea del “progresso”, ma ne avrebbe certamente guadagnato una maggiore rispondenza alla realtà e la considerazione non secondaria che l'evoluzione “non” deve essere intesa in termini di "progresso"- soprattutto progresso orientato teleologicamente, cioè in senso finalistico (Darwin infatti non l’ha mai intesa in questo senso, nonostante in qualche lettera parlasse di leggi naturali “intelligenti”, ma in ogni caso è un genio ampiamente giustificabile dato che scriveva nell’800, cioè in un’epoca dominata dal riduzionismo, come fa notare opportunamente Pietro De Michelis…).

Birnam wood prophecy


Messaggio da Birnam wood prophecy » 11/09/2012, 15:21

Sims ha scritto:[...]



l'immagine usata è di immediata comprensione, è subito chiaro di cosa si vuole parlare. Come potresti con la stessa velocità illustrare la teoria della genesi ramificata?
Nella tradizionale illustrazione “lineare” abbiamo un individuo che, originariamente in prevalenza arboricolo, scende definitivamente sulla terraferma (Ian Tattersall in “Il cammino dell’uomo”, ediz. Garzanti, 2004, pag. 103, spiega che il bipedismo si affermò molto probabilmente in conseguenza di un episodio globale di inaridimento che determinò “l’espansione di condizioni ambientali più aperte a spese delle foreste (…). L’ovvia implicazione di questi mutamenti ambientali è che l’uomo si sia evoluto da una popolazione di Ominoidi [prevalentemente arboricola] costretta ad abbandonare la foresta fitta per il progressivo deterioramento dell’ambiente ancestrale”), successivamente inizia (appunto) a deambulare assumendo una posizione del corpo (stazione) eretta (con locomozione bipede) e quindi infine diventa dopo varie vicissitudini “Homo sapiens sapiens”. Questi esempi di marcia del progresso, in realtà non sono altro che rami di un cespuglio che è stato così pesantemente sfrondato da episodi di estinzioni che alla fine è sopravvissuto solo come un ramoscello singolo. Scordandoci la totalità dei rami estintesi nel corso del tempo, siamo indotti a immaginare un sentiero evolutivo “lineare”. Inoltre, cosa più deleteria, si è immersi in questa ottica a tale profondità che (addirittura) i “cespugli” spesso non vengono considerati come esempio dell’evoluzione proprio perché non è possibile rinvenire negli stessi un esempio di storia filogenetica “lineare”.

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Messaggio da Sims » 11/09/2012, 16:15

Birnam wood prophecy ha scritto:[...]


Nella tradizionale illustrazione “lineare” abbiamo un individuo che, originariamente in prevalenza arboricolo, scende definitivamente sulla terraferma (Ian Tattersall in “Il cammino dell’uomo”, ediz. Garzanti, 2004, pag. 103, spiega che il bipedismo si affermò molto probabilmente in conseguenza di un episodio globale di inaridimento che determinò “l’espansione di condizioni ambientali più aperte a spese delle foreste (…). L’ovvia implicazione di questi mutamenti ambientali è che l’uomo si sia evoluto da una popolazione di Ominoidi [prevalentemente arboricola] costretta ad abbandonare la foresta fitta per il progressivo deterioramento dell’ambiente ancestrale”), successivamente inizia (appunto) a deambulare assumendo una posizione del corpo (stazione) eretta (con locomozione bipede) e quindi infine diventa dopo varie vicissitudini “Homo sapiens sapiens”. Questi esempi di marcia del progresso, in realtà non sono altro che rami di un cespuglio che è stato così pesantemente sfrondato da episodi di estinzioni che alla fine è sopravvissuto solo come un ramoscello singolo. Scordandoci la totalità dei rami estintesi nel corso del tempo, siamo indotti a immaginare un sentiero evolutivo “lineare”. Inoltre, cosa più deleteria, si è immersi in questa ottica a tale profondità che (addirittura) i “cespugli” spesso non vengono considerati come esempio dell’evoluzione proprio perché non è possibile rinvenire negli stessi un esempio di storia filogenetica “lineare”.
Non potresti mai fare il pubblicitario ma restano comunque tante altre belle professioni ;)

Birnam wood prophecy


Messaggio da Birnam wood prophecy » 11/09/2012, 21:32

Sims ha scritto:[...]



Non potresti mai fare il pubblicitario ma restano comunque tante altre belle professioni ;)
:DD ;) grazie, sei simpatica... :)

Birnam wood prophecy


Messaggio da Birnam wood prophecy » 12/09/2012, 14:07

Birnam wood prophecy ha scritto:[...]
ma la chiave della svolta fu trovata soltanto da Niles Eldredge...
Concludo. Niles Eldredge, paleontologo, insieme al suo collega S. J. Gould, formulò la "Teoria degli equilibri punteggiati" partendo proprio dall'intuizione di Mayr: Pievani spiega che secondo questa teoria, la stragrande maggioranza delle specie fossili osservabili negli strati geologici - contrariamente a quanto si era sino ad allora ritenuto nell' ambito della comunità scientifica che considerava come regola il gradualismo filetico, cioè l’evoluzione come fatto naturale graduale, lento, lineare e progressivo - “non sembravano affatto sfumare l’una nell’altra impercettibilmente [tramite le graduali trasformazioni anagenetiche di cui si è detto in precedenza], ma il processo di anagenesi sembrava alquanto raro. La documentazione geologica mostrava infatti fenomeni inspiegabili nella prospettiva del gradualismo filetico: le specie mostravano lunghissimi periodi di generale stabilità [morfologica, c.d. “stasi”], misurabili in milioni di anni, interrotti [cioè appunto “punteggiati”: la teoria in questione fu denominata appunto “Equilibrio punteggiato”, intendendo con il primo termine - cioè “equilibrio”- la stasi e con il secondo termine - cioè la punteggiatura - l'interruzione temporanea della stasi stessa] da brevi periodi di cambiamento, misurabili in migliaia di anni, durante i quali comparivano repentinamente nuove forme [attraverso la “speciazione cladogenetica” di cui si è detto nel post precedente. Le nuove forme in questione, cioè le nuove specie, rimanevano successivamente in stasi per milioni di anni e così via. Perché le nuove specie comparivano “repentinamente”? Semplice: perché, come spiega Pievani, riferendosi all’esempio della “speciazione allopatrica“ di cui ai post precedenti: “più la popolazione iniziale che va “alla deriva” è piccola, più veloce sarà il ritmo di separazione genetica dalla specie “madre”, poiché le variazioni all'interno di gruppi ristretti si accumuleranno più rapidamente sotto l'effetto della selezione naturale e degli altri fattori evolutivi. Ci vuole più tempo per fare cambiare una popolazione enorme, di milioni d'individui, piuttosto che un gruppuscolo di qualche migliaio di pionieri. Se allora osserviamo l'intero processo con lo sguardo del paleontologo, tarato sui milioni di anni, il fenomeno di “speciazione” ci sembrerà pressoché "istantaneo" [repentino] cioè pari, secondo Gould, a un centesimo circa della durata complessiva della specie. In realtà, per quanto talvolta possa essere realmente molto rapido, si tratta di un processo che richiede comunque migliaia di generazioni e in genere alcune decine di migliaia di anni per completarsi”].
In pratica, per la teoria dell’ “Equilibrio punteggiato”, l’evoluzione nella stragrande maggioranza dei casi, consiste in una rara interruzione di una condizione tipica di stasi: il cambiamento evolutivo è visto cioè, secondo la definizione di Gould, come “occasionale sospensione della stasi”, come insieme di rari episodi di speciazione cladogenetica che interrompono la stasi. Invece i casi di “gradualismo filetico” (cioè i casi in cui si ha una lentissima trasformazione graduale di una specie in un’altra: una specie sfuma gradualmente in un’altra per cui in conclusione avremo una specie “ancestrale” oramai fossilizzata e una specie “nuova”. Le due specie in questione, evidentemente, “non” possono coesistere) effettivamente documentati sono in realtà pochi. Di conseguenza, aggiunge Pievani, l'idea che “di regola” le specie sfumino gradualmente e impercettibilmente l'una nell'altra veniva messa in discussione.
Alcune precisazioni importanti:
-riguardo al concetto di "stasi", "generale stabilità" di una specie non significa, come spiega Gould, immobilismo puro, immutabile come la roccia, completa assenza di variazioni nel tempo, ma significa che "una specie subito prima di estinguersi non sembra presentare differenze sistematiche nella sua anatomia rispetto al momento in cui comparve nella documentazione fossile, in genere parecchi milioni di anni prima". Cioè, la stasi non è caratterizzata da una stabilità assoluta, ma presenta oscillazioni, fluttuazioni che però si rivelano sostanzialmente irrilevanti. Il gradualismo filetico, soprattutto nel periodo in cui si affermò la teoria neodarwinista, somigliava a qualcosa che era molto vicino a ciò che si potrebbe definire "ideologia": infatti, come spiega Gould, la "stasi" era vista dagli studiosi con imbarazzo perchè "frustrava le speranze di trovare prove dell'evoluzione graduale e anagenetica" che essi cercavano in funzione apologetica. Secondo gli studiosi, quindi, la stasi era una conseguenza della documentazione fossile carente! Darwin era conscio del fatto che la documentazione fossile non avvalorava la sua teoria, nel senso che gli strati geologici recavano raramente tracce del gradualismo filetico che stava alla base della sua teoria, nonostante ciò finì per incolpare di ciò le carenze della documentazione fossile.
-Eldredge e Gould sono darwinisti perché “non” negano il gradualismo, ma lo integrano con eventi “discontinui”. Alla visione positivista del progresso insita nella “marcia del progresso”, essi contrappongono infatti la loro “teoria degli equilibri punteggiati” - secondo la quale, come dice Pievani, “la storia naturale non è sempre riconducibile a un modello di crescita graduale e cumulativa, ma più frequentemente a un modello di stabilità morfologica duratura "punteggiata" da episodi di brusco cambiamento”- pervenendo in tal modo ad un “pluralismo evolutivo”: l’evoluzione vista cioè come fatto che procede a “velocità diverse”. Eldredge e Gould costruirono una teoria darwiniana "estesa" e pluralista.
Dunque la “teoria degli equilibri punteggiati” non negava i principi fondamentali della teoria darwiniana dell'evoluzione, “non sminuiva l'efficacia dei normali meccanismi neodarwiniani di mutazione, selezione, ecc. Si sottolineava però l'importanza dell'innesco ecologico iniziale” [le barriere geografiche nella speciazione allopatrica].

Infine un esempio “pioneristico” di Equilibrio punteggiato riportato da Pievani:

"Eldredge nel 1971 pubblicò i risultati di uno studio molto esteso e approfondito su migliaia di esemplari di trilobite, appartenenti a due specie diverse, rinvenuti nello stato di New York e nel Midwest. Il primo dato che colpì la sua attenzione fu la persistente stabilità evolutiva delle due specie [“stasi” evolutiva]. Nel Midwest i trilobiti rimasero identici a se stessi per otto milioni di anni, per essere poi sostituiti improvvisamente da esemplari con una piccola modificazione nella struttura degli occhi (composti non più da diciotto file di lenti, ma da diciassette). Nei siti dello stato di New York l'andamento era analogo: la prima specie con diciotto file di lenti domina per un tempo lunghissimo, finché si assiste alla transizione rapida alla nuova forma con diciassette file di lenti. Per sua buona sorte, Eldredge riuscì a trovare anche alcuni esemplari coetanei ma appartenenti a specie diverse, segno che vi era stato un breve periodo di transizione in cui le due specie erano vissute insieme ["per sua buona sorte" perchè il fatto che l'antenato specie madre sopravviva non significa necessariamente che debba successivamente trovarsi a coesistere con la specie discendente figlia]. Qual era la piccola e preziosissima storia dei trilobiti della East Coast? Una storia di "cladogenesi", cioè di cambiamento ramificato dovuto a isolamento di una popolazione e conseguente divergenza genetica dalla popolazione madre, ovvero una storia di stasi interrotta da brevi periodi di transizione: nell'areale di NewYork la specie originaria si biforca e dà origine per speciazione ad una nuova forma, di maggior successo anche se dotata di una modificazione morfologica minima, che in breve tempo sostituisce la precedente e dopo alcuni milioni di anni colonizza anche il lontano areale del Midwest. E’ dunque la storia di una speciazione allopatrica rapida e fortunata, che interrompe un lungo periodo di stabilità nella vita dei trilobiti".

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Messaggio da Birnam wood prophecy » 17/09/2012, 14:21

Birnam wood prophecy ha scritto:[...]



l'evoluzione “non” deve essere intesa in termini di "progresso"
Su questo argomento è presente una letteratura piuttosto corposa ascrivibile ai vari S. J. Gould, Pievani, Cavalli Sforza, ecc.
In particolare, ho apprezzato molto lo splendido lavoro di Vito Evola dal titolo "Evoluzione, cambiamento e progresso tra metafora e frame" in "Metafore del vivente. Linguaggi e ricerca scientifica tra filosofia, bios e psiche", raccolta di saggi dedicati alla "metafora" e pubblicata dall'editore Franco Angeli nel 2010. Ne riporto alcuni brevi, ma significativi stralci, grazie :) :

"L’evoluzione, in senso stretto, non è progressiva ma adattiva. (...) Inoltre, il modello scientifico-biologico è connesso al “cambiamento”. Il rapporto vitale che sottostà al concetto di progresso (X = X+ 1) è quello di identità, mentre il rapporto di analogia-disanalogia sottostà all’idea di cambiamento (X →Y), là dove non c’è identità. Il motivo per cui diremmo di un bruco che diventa farfalla è che attraversa un cambiamento e non un progresso. Nel concetto di progresso si ha infatti un mantenimento di identità benchè avvenga una variazione. Come indica la parola stessa “progresso” (pro-gredi: avanzare o procedere avanti), c’è un progresso lineare e continuo rappresentato tramite lo schema “sorgente-percorso-meta” (teleologia) in cui il movimento in avanti rappresenta un momento positivo, ovvero un avvicinamento allo scopo sottinteso. Infatti, perché si verifichi un qualsiasi tipo di progresso ci deve essere un “ideale” verso il quale tende l’oggetto cambiato altrimenti non sarebbe valutabile l’esistenza di una progressione, di una regressione o di una stasi. Questo ideale si potrebbe definire come la “perfezione” o l’assoluta compiutezza dell’oggetto. Senza questo punto di riferimento “ideale”, l’oggetto è semplicemente “diverso” o “cambiato”. Solo una cosa che progredisce si muove lungo un continuum lineare modificandosi solo in senso positivo (connotazione positiva. Nel caso invece del concetto di “cambiamento”, la connotazione non è né positiva, né negativa).
E' possibile proporre quindi almeno due varianti dell’idea di evoluzione: la prima, quella biologica scientifica, o evoluzione in senso stretto, che sottostà all’idea di cambiamento, e la seconda, quella popolare, che si basa sul modello di progresso (modello cognitivo idealizzato). L’idea popolare di evoluzione come progresso, con l’inerente rapporto di identità [di cui si è detto in precedenza] - in questo caso il pensiero che, per quanto in un remoto passato, fossimo “scimmie”* – suscita disagio in molti, emozione che invece se si segue il modello scientifico risulta priva di senso, poiché manca l’implicazione di identità individuale. Inoltre, se c’è uno scopo, come nel caso del progresso, c’è teleologia e, quindi, antropomorfismo. Forse per questo chi concepisce l’evoluzione in questi termini vede la natura come scienza che va a sostituire il ruolo di agente proprio del divino, vedendo l’evoluzione e la scienza come se dovessero spiegare il “perché” siamo, mentre il modello scientifico si limita a volere spiegare il “come” "[la scienza infatti non può argomentare per qualità, ma solo per quantità].

*Nell’immaginario popolare l’uomo discende dalla scimmia. In realtà l’uomo non discende dalle scimmie, ma ha in comune con le grandi scimmie antropomorfe quali gorilla, orango, scimpanzè, un antenato: cioè un ominide ormai estinto.

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Messaggio da Etere » 13/01/2015, 0:14

Birnam wood prophecy ha scritto:[...]

«L’evoluzione, in senso stretto, non è progressiva ma adattiva. (...) Inoltre, il modello scientifico-biologico è connesso al “cambiamento”. Il rapporto vitale che sottostà al concetto di progresso (X = X+ 1) è quello di identità, mentre il rapporto di analogia-disanalogia sottostà all’idea di cambiamento (X →Y), là dove non c’è identità. Il motivo per cui diremmo di un bruco che diventa farfalla è che attraversa un cambiamento e non un progresso. Nel concetto di progresso si ha infatti un mantenimento di identità benchè avvenga una variazione. Come indica la parola stessa “progresso” (pro-gredi: avanzare o procedere avanti), c’è un progresso lineare e continuo rappresentato tramite lo schema “sorgente-percorso-meta” (teleologia) in cui il movimento in avanti rappresenta un momento[/b] positivo, ovvero un avvicinamento allo scopo sottinteso. Infatti, perché si verifichi un qualsiasi tipo di progresso ci deve essere un “ideale” verso il quale tende l’oggetto cambiato altrimenti non sarebbe valutabile l’esistenza di una progressione, di una regressione o di una stasi. Questo ideale si potrebbe definire come la “perfezione” o l’assoluta compiutezza dell’oggetto. Senza questo punto di riferimento “ideale”, l’oggetto è semplicemente “diverso” o “cambiato”. Solo una cosa che progredisce si muove lungo un continuum lineare modificandosi solo in senso positivo (connotazione positiva. Nel caso invece del concetto di “cambiamento”, la connotazione non è né positiva, né negativa).
E' possibile proporre quindi almeno due varianti dell’idea di evoluzione: la prima, quella biologica scientifica, o evoluzione in senso stretto, che sottostà all’idea di cambiamento, e la seconda, quella popolare, che si basa sul modello di progresso (modello cognitivo idealizzato). L’idea popolare di evoluzione come progresso, con l’inerente rapporto di identità [di cui si è detto in precedenza] - in questo caso il pensiero che, per quanto in un remoto passato, fossimo “scimmie”* – suscita disagio in molti, emozione che invece se si segue il modello scientifico risulta priva di senso, poiché manca l’implicazione di identità individuale. Inoltre, se c’è uno scopo, come nel caso del progresso, c’è teleologia e, quindi, antropomorfismo. Forse per questo chi concepisce l’evoluzione in questi termini vede la natura come scienza che va a sostituire il ruolo di agente proprio del divino, vedendo l’evoluzione e la scienza come se dovessero spiegare il “perché” siamo, mentre il modello scientifico si limita a volere spiegare il “come” "[la scienza infatti non può argomentare per qualità, ma solo per quantità]».

Vito Evola, Evoluzione, cambiamento e progresso tra metafora e frame (in "Metafore del vivente. Linguaggi e ricerca scientifica tra filosofia, bios e psiche", Franco Angeli ediz., 2010).

*Nell’immaginario popolare l’uomo discende dalla scimmia. In realtà l’uomo non discende dalle scimmie, ma ha in comune con le grandi scimmie antropomorfe quali gorilla, orango, scimpanzè, un antenato: cioè un ominide ormai estinto.
A questo proposito mi è venuto in mente un simpatico animaletto che potrebbe costituire un ottimo esempio in grado di testimoniare (in modo evidente e inequivocabile) perchè l'evoluzione “non” debba essere intesa in termini di "progresso". Si tratta di una salamandra (che somiglia però a un piccolo drago): il Proteo (Proteus Anguineus). Il proteo vive immerso nell’oscurità perenne delle grotte del Carso e dell’Istria e presenta, in particolare, un incredibile (e sconvolgente) adattamento alla vita acquatica "ipogea": il proteo e’ infatti cieco (gli occhi non gli servono dove regna eternamente il buio), ma non dalla nascita. Il proteo nasce infatti munito di occhi («reminiscenza ontogenetica dell’antenato non cavernicolo: l’antenato comune era una salamandra dall’aspetto normale vissuto nel mesozoico», chiarisce Lisa Signorile, una delle fonti che ho consultato trattando l'argomento. Aggiungerei inoltre che l’antenato comune che viveva originariamente in un ambiente “epigeo” si stanziò nelle acque delle caverne probabilmente in seguito allo sviluppo del fenomeno del “carsismo”. Sono presenti sul web interessanti scritti di biospeleologia sull’argomento), ma questi nel giro di qualche mese si atrofizzano finendo con l’infossarsi nel derma della testa. Alla luce di quanto detto, non credo che nel caso del nostro amico cavernicolo dagli occhi atrofici possa parlarsi di evoluzione in termini di “progresso” (ossia nei termini di x = x+1). Più che di un progresso sembrerebbe (sembrerebbe…) trattarsi di una… ”involuzione”. La questione in esame viene chiarita ulteriormente da Telmo Pievani, in “La teoria dell’evoluzione”, pagg. 116-119, Il Mulino ediz., 2006 (le brevi Note asteriscate in calce e tra parentesi quadre sono mie):

Darwin aveva messo bene in guardia dall’associare il concetto di «evoluzione» a quello di «progresso», per lui troppo pericolosamente vicino all’idea che le specie avessero una qualche tendenza intrinseca al miglioramento. (…) L’evoluzione raramente è un accumulo progressivo e prevedibile di miglioramenti in senso assoluto. Evoluzione non significa quindi progresso scalare: lo dimostrano i caratteri, anche complessi come gli occhi, abbandonati dagli organismi quando non sono più utili al contesto specifico così come i caratteri arcaici* che perdurano lungamente a fianco di soluzioni più «avanzate». Tuttavia, è altrettanto evidente che se osserviamo la storia naturale su larga scala notiamo un aumento progressivo se non della diversità, sicuramente della complessità degli adattamenti. Secondo alcuni questa evidenza giustifica la conclusione che l’evoluzione sia a lungo andare progressiva, nel senso che produce un costante aumento della «complessità adattiva» a partire da forme più semplici. L’argomentazione dipende però da come definiamo il criterio di complessità (…). Certo, un vertebrato è più complesso di un invertebrato per diversi aspetti, ma in termini di successo adattivo nessuno può competere con i batteri, organi semplicissimi. Anche in termini di biomassa complessiva e di diversità, la vita sembra privilegiare archeobatteri, batteri ed eucarioti unicellulari. Le forme complesse sembrano l’apice dell’evoluzione se adottiamo criteri di valutazione in qualche modo «antropomorfi», ma per un batterio apparirebbero come la periferia dell’impero della vita**. La controversia diventa più dipanabile se proviamo a distinguere il progresso evolutivo come fatto dal progresso inteso come “tendenza intrinseca” dell’evoluzione***(…). E’ un fatto innegabile che l’evoluzione dall’ameba a Newton sia stata un «progresso». Altra questione è però capire se dentro questo processo vi sia stata una ragione «necessaria» o meno. Stando alle conoscenze attuali, questa ragione necessaria sfugge. L’adattamento è sempre locale, incompiuto e contingente [a pag. 73, Pievani spiega anche i motivi per cui «il concetto di adattamento non può essere associato facilmente a quello di “perfezione”: si tratta di un processo provvisorio, contingente rispetto ai cambiamenti ambientali che possono rimettere in moto il meccanismo selettivo a favore di altri adattamenti. Un adattamento, benchè ottimale in una nicchia ecologica, rimane sotto condizione: vale sino al prossimo cambiamento delle pressioni selettive»]. La selezione naturale non guarda al futuro e opera soltanto di singola generazione in singola generazione: (…) non può giustificare un principio di progresso su larga scala. Mutazione e deriva sono processi non direzionati. Non possiamo accettare ritorni nostalgici al finalismo (…).


Note:

* I cosiddetti caratteri “vestigiali” (per es. la plica semilunare nell’occhio umano).

** Stephen Jay Gould, in “L’equilibrio punteggiato” (pagg. 226-227, Codice ediz., 2008) scrive:
«Le prime tracce di vita sono batteri di 3,5 miliardi di anni fa e la storia dei viventi prosegue poi, verosimilmente per oltre un miliardo di anni, senza mai mostrare una variazione della complessità tipica di questo gruppo. [Dunque] Noi non ci troviamo a vivere in quella che i vecchi libri chiamavano “l’età dell’uomo”» (una singola specie [recentissima, come d’altronde lo furono anche le altre specie di “Homo” estinte]: homo sapiens) o “l’età dei mammiferi” (4.000 specie [di mammiferi] tra oltre un milione [di specie] per il solo regno animale). Viviamo invece, se proprio vogliamo servirci di un modello di riferimento, in una perdurante “età dei batteri”- le forme di vita organica dominanti sulla Terra in passato, ora e in futuro (fino a che il Sole non si spegnerà), secondo qualunque criterio di diversità biochimica, di variabilità degli habitat e di resistenza all’estinzione (…). I batteri (…) sono quasi inevitabilmente il punto di partenza della documentazione fossile di anatomie conservabili e riconoscibili. (…) La vita può difficilmente originarsi con caratteristiche morfologiche molto diverse da quelle che io ho definito come il “muro sinistro” della complessità minima concepibile e conservabile, rappresentata, a tutti gli effetti, dai batteri (almeno visti come entità preservabili nella documentazione fossile). Non mi è facile immaginare uno scenario che inizi con la comparsa di un ippopotamo nel brodo primordiale (…)».

*** Il virgolettato (alto) è di Etere.
Senza il sol nulla son io

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Messaggio da Etere » 13/01/2015, 0:16

Birnam wood prophecy ha scritto:[...]

«L’evoluzione, in senso stretto, non è progressiva ma adattiva. (...) Inoltre, il modello scientifico-biologico è connesso al “cambiamento”. Il rapporto vitale che sottostà al concetto di progresso (X = X+ 1) è quello di identità, mentre il rapporto di analogia-disanalogia sottostà all’idea di cambiamento (X →Y), là dove non c’è identità. Il motivo per cui diremmo di un bruco che diventa farfalla è che attraversa un cambiamento e non un progresso. Nel concetto di progresso si ha infatti un mantenimento di identità benchè avvenga una variazione. Come indica la parola stessa “progresso” (pro-gredi: avanzare o procedere avanti), c’è un progresso lineare e continuo rappresentato tramite lo schema “sorgente - percorso - meta” (teleologia) in cui il movimento in avanti rappresenta un momento positivo, ovvero un avvicinamento allo scopo sottinteso. Infatti, perché si verifichi un qualsiasi tipo di progresso ci deve essere un “ideale” verso il quale tende l’oggetto cambiato altrimenti non sarebbe valutabile l’esistenza di una progressione, di una regressione o di una stasi. Questo ideale si potrebbe definire come la “perfezione” o l’assoluta compiutezza dell’oggetto. Senza questo punto di riferimento “ideale”, l’oggetto è semplicemente “diverso” o “cambiato”. Solo una cosa che progredisce si muove lungo un continuum lineare modificandosi solo in senso positivo (connotazione positiva. Nel caso invece del concetto di “cambiamento”, la connotazione non è né positiva, né negativa).
E' possibile proporre quindi almeno due varianti dell’idea di evoluzione: la prima, quella biologica scientifica, o evoluzione in senso stretto, che sottostà all’idea di cambiamento, e la seconda, quella popolare, che si basa sul modello di progresso (modello cognitivo idealizzato). L’idea popolare di evoluzione come progresso, con l’inerente rapporto di identità [di cui si è detto in precedenza] - in questo caso il pensiero che, per quanto in un remoto passato, fossimo “scimmie”* – suscita disagio in molti, emozione che invece se si segue il modello scientifico risulta priva di senso, poiché manca l’implicazione di identità individuale. Inoltre, se c’è uno scopo, come nel caso del progresso, c’è teleologia e, quindi, antropomorfismo. Forse per questo chi concepisce l’evoluzione in questi termini vede la natura come scienza che va a sostituire il ruolo di agente proprio del divino, vedendo l’evoluzione e la scienza come se dovessero spiegare il “perché” siamo, mentre il modello scientifico si limita a volere spiegare il “come” "[la scienza infatti non può argomentare per qualità, ma solo per quantità]».

Vito Evola, Evoluzione, cambiamento e progresso tra metafora e frame (in "Metafore del vivente. Linguaggi e ricerca scientifica tra filosofia, bios e psiche", Franco Angeli ediz., 2010).

*Nell’immaginario popolare l’uomo discende dalla scimmia. In realtà l’uomo non discende dalle scimmie, ma ha in comune con le grandi scimmie antropomorfe quali gorilla, orango, scimpanzè, un antenato: cioè un ominide ormai estinto.
A questo proposito mi è venuto in mente un simpatico animaletto che potrebbe costituire un ottimo esempio in grado di testimoniare (in modo evidente e inequivocabile) perchè l'evoluzione “non” debba essere intesa in termini "progressivi". Si tratta di una salamandra (che somiglia però a un piccolo drago): il Proteo (Proteus anguinus). Il proteo vive immerso nell’oscurità perenne delle grotte del Carso e dell’Istria e presenta, in particolare, un incredibile (e sconvolgente) adattamento alla vita acquatica "ipogea": il proteo e’ infatti cieco (gli occhi non gli servono dove regna eternamente il buio), ma non dalla nascita. Il proteo nasce infatti munito di occhi («reminiscenza ontogenetica dell’antenato non cavernicolo: l’antenato comune era una salamandra dall’aspetto normale vissuto nel mesozoico», chiarisce Lisa Signorile, una delle fonti che ho consultato trattando l'argomento. Aggiungerei inoltre che l’antenato comune che viveva originariamente in un ambiente “epigeo” si stanziò nelle acque delle caverne probabilmente in seguito allo sviluppo del fenomeno del “carsismo”. Sono presenti sul web interessanti scritti di biospeleologia sull’argomento), ma questi nel giro di qualche mese si atrofizzano finendo con l’infossarsi nel derma della testa. Alla luce di quanto detto, non credo dunque che nel caso del nostro amico cavernicolo dagli occhi atrofici possa parlarsi di evoluzione in termini di “progresso” (ossia nei termini di x = x+1). Più che di un progresso sembrerebbe (sembrerebbe…) trattarsi di una… ”involuzione” :DD . La questione in esame viene chiarita ulteriormente da Telmo Pievani, in “La teoria dell’evoluzione”, pagg. 116-119, Il Mulino ediz., 2006 (le brevi Note asteriscate in calce e tra parentesi quadre sono mie):

Darwin aveva messo bene in guardia dall’associare il concetto di «evoluzione» a quello di «progresso», per lui troppo pericolosamente vicino all’idea che le specie avessero una qualche tendenza intrinseca al miglioramento. (…) L’evoluzione raramente è un accumulo progressivo e prevedibile di miglioramenti in senso assoluto. Evoluzione non significa quindi progresso scalare: lo dimostrano i caratteri, anche complessi come gli occhi, abbandonati dagli organismi quando non sono più utili al contesto specifico così come i caratteri arcaici* che perdurano lungamente a fianco di soluzioni più «avanzate». Tuttavia, è altrettanto evidente che se osserviamo la storia naturale su larga scala notiamo un aumento progressivo se non della diversità, sicuramente della complessità degli adattamenti. Secondo alcuni questa evidenza giustifica la conclusione che l’evoluzione sia a lungo andare progressiva, nel senso che produce un costante aumento della «complessità adattiva» a partire da forme più semplici. L’argomentazione dipende però da come definiamo il criterio di complessità (…). Certo, un vertebrato è più complesso di un invertebrato per diversi aspetti, ma in termini di successo adattivo nessuno può competere con i batteri, organi semplicissimi. Anche in termini di biomassa complessiva e di diversità, la vita sembra privilegiare archeobatteri, batteri ed eucarioti unicellulari. Le forme complesse sembrano l’apice dell’evoluzione se adottiamo criteri di valutazione in qualche modo «antropomorfi», ma per un batterio apparirebbero come la periferia dell’impero della vita**. La controversia diventa più dipanabile se proviamo a distinguere il progresso evolutivo come fatto dal progresso inteso come “tendenza intrinseca” dell’evoluzione***(…). E’ un fatto innegabile che l’evoluzione dall’ameba a Newton sia stata un «progresso». Altra questione è però capire se dentro questo processo vi sia stata una ragione «necessaria» o meno. Stando alle conoscenze attuali, questa ragione necessaria sfugge. L’adattamento è sempre locale, incompiuto e contingente [a pag. 73, Pievani spiega anche i motivi per cui «il concetto di adattamento non può essere associato facilmente a quello di “perfezione”: si tratta di un processo provvisorio, contingente rispetto ai cambiamenti ambientali che possono rimettere in moto il meccanismo selettivo a favore di altri adattamenti. Un adattamento, benchè ottimale in una nicchia ecologica, rimane sotto condizione: vale sino al prossimo cambiamento delle pressioni selettive»]. La selezione naturale non guarda al futuro e opera soltanto di singola generazione in singola generazione: (…) non può giustificare un principio di progresso su larga scala. Mutazione e deriva sono processi non direzionati. Non possiamo accettare ritorni nostalgici al finalismo (…).


Note:

* I cosiddetti caratteri “vestigiali” (per es. la plica semilunare nell’occhio umano).

** Stephen Jay Gould, in “L’equilibrio punteggiato” (pagg. 226-227, Codice ediz., 2008), scrive:
«Le prime tracce di vita sono batteri di 3,5 miliardi di anni fa e la storia dei viventi prosegue poi, verosimilmente per oltre un miliardo di anni, senza mai mostrare una variazione della complessità tipica di questo gruppo. [Dunque] Noi non ci troviamo a vivere in quella che i vecchi libri chiamavano “l’età dell’uomo”» (una singola specie [recentissima, come d’altronde lo furono anche le altre specie di “Homo” estinte]: homo sapiens) o “l’età dei mammiferi” (4.000 specie [di mammiferi] tra oltre un milione [di specie] per il solo regno animale). Viviamo invece, se proprio vogliamo servirci di un modello di riferimento, in una perdurante “età dei batteri”- le forme di vita organica dominanti sulla Terra in passato, ora e in futuro (fino a che il Sole non si spegnerà), secondo qualunque criterio di diversità biochimica, di variabilità degli habitat e di resistenza all’estinzione (…). I batteri (…) sono quasi inevitabilmente il punto di partenza della documentazione fossile di anatomie conservabili e riconoscibili. (…) La vita può difficilmente originarsi con caratteristiche morfologiche molto diverse da quelle che io ho definito come il “muro sinistro” della complessità minima concepibile e conservabile, rappresentata, a tutti gli effetti, dai batteri (almeno visti come entità preservabili nella documentazione fossile). Non mi è facile immaginare uno scenario che inizi con la comparsa di un ippopotamo nel brodo primordiale (…)».

*** Il virgolettato (alto) è di Etere.
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